7 Febbraio-NOEXPOPRIDE-h 14:00 edificio U6
Il 7 febbraio presso l’hangar di Bicocca si svolgerà EXPO DELLE IDEE, un evento partecipato da oltre 500 esperti divisi in 40 tavoli di lavoro che si confronteranno sui temi centrali dell’esposizione.
Noi ci saremo per contestare le tematiche di Expo, in particolare WE-Women for Expo, progetto che parla di nutrimento mettendo al centro la cultura femminile, sostenendo che ogni donna è depositaria di pratiche e tradizioni legate al cibo, alla capacità di nutrire e di prendersi cura non solo di se stesse, ma anche degli altri.
L’immagine della donna offerta oggi da Expo a livello mondiale è quella della cura, della nutrizione. La donna al servizio della casa, della famiglia, e alla fine anche del pianeta. Depositaria di un sapere culinario, la donna culla la terra in un abbraccio materno. Magari indossando un grembiule e dei bei guanti di gomma.
Ma quante persone si riconoscono in questo stereotipo femminile? E soprattutto, ne conseguono dei diritti?
Viviamo in una società nella quale il welfare è fatto dalle donne, in maniera gratuita: non esistono strutture, non si pensa a sostegni di alcun tipo e tutte queste mancanze, e non una presunta natura femminile, riconsegnano le donne alla casa e alla cura. Alla donna è richiesto sempre maggiore sforzo di multitasking: madre amorevole, moglie premurosa, casalinga economa, lavoratrice attenta.
La becera presentazione che fa Expo della femminilità ci sembra un buon esempio di una retorica che nasconde una limitazione alla libertà delle donne di autodeterminarsi e che mistifica due secoli di lotta femminista. L’immagine delle donne è sempre la stessa: scolapasta in mano, mestolo e guanto da cucina.
L’universalità dell’esposizione si rivela pertanto solo un bluff, una veste di innovazione che maschera il conservatorismo dietro il quale si nasconde questa fiera, un’impostazione millenaria e immobile.
Ebbene, noi vi restituiamo il guanto, ma non getteremo mai la spugna.
No Expo Pride
https://www.facebook.com/pages/NoExpo-Pride http://noexpopride.noblogs.org
17 GENNAIO ORE 14 – PIAZZA LUIGI EINAUDI (MILANO)
Expo è una macchina incubatrice di precarietà diffusa, uno strumento di sperimentazioni in fatto di contratti lavorativi e di volontariato, e un dispositivo di controllo e normalizzazione delle vite delle persone.
Expo è un gigante di cemento che si mangia intere aree extraurbane e che lascerà in eredità strutture fantasma abbandonate a loro stesse, che non avranno più valore per nessuno e dunque a nessuno interesseranno più.
Expo è un generatore di debito pubblico travestito da grande evento, e sfruttamento mascherato da opportunità.
Non ci scandalizza la presenza del suo logo insieme a quello della Regione Lombardia sulla presentazione di un convegno dal titolo “Difendere la famiglia per difendere la comunità”.
Ci fa inorridire la politica sulle donne che Expo sta portando avanti e che è perfettamente in linea con l’immagine di donna, regina del focolare domestico e madre prima di tutto, depositaria di conoscenze legate al cibo, al nutrimento e alla capacità di “prendersi cura” (così recita il sito di Women for Expo), un’immagine che ci riporta ad epoche oscurantiste e di matrice indubbiamente patriarcale, sostenuta per esempio dalla giornalista Costanza Miriano, autrice di imperdibili testi come “_Sposati e sii sottomessa_” (e non è satira). In questo svilimento dei diritti delle donne e delle soggettività LGBTIQ l’unico segnale di apertura è dettato dall’interesse economico che sta dietro alla valorizzazione del turismo omosessuale, con un fallito progetto di Gay Street patrocinata dal Comune di Milano ed Expo che, nel migliore degli stereotipi, avrebbe messo un’intera strada, ripulita dal degrado per l’occasione, a disposizione dei gay (ovviamente maschi) tanto attenti alla moda e allo shopping, un po’ un’area protetta, in cui questi strani individui possano muoversi felici e alla quale il mondo possa guardare sorridendo con sollievo.
Questo è pinkwashing: nessuna reale volontà di incidere sulla cultura delle libertà. Libertà di essere chi e come si vuole, di costruire le famiglie che più ci piacciono e meglio ci fanno stare, di vivere la sessualità e la vita senza subire il giudizio di nessuno.
Questo è Expo ed è per questo che non ci stupisce l’imprudente accostamento del suo logo ad un convegno che parla della famiglia “naturale” come unica famiglia legittima, con un ospite d’eccezione come Mario Adinolfi, ex PD, autore del libro “_Voglio la mamma_” in cui contesta i “falsi miti di progresso” (aborto, eutanasia, matrimonio omosessuale, utero in affitto).
Sabato 17 gennaio saremo dunque in piazza anche noi, con questi contenuti, con una forte critica al convegno e alla Regione Lombardia che lo organizza e lo ospita in una sala pubblica (e che lo prende a modello per le sue politiche in materia di famiglia), ma con una forte opposizione anche ad Expo e a quei partiti che dovrebbero essere rappresentanti della società e che sempre più spesso vediamo contemporaneamente seduti nei luoghi del potere e delle decisioni, nei consigli per Expo, ma anche nei convegni omofobi come pure nelle piazze che li contestano, e che sembrano non rendersi conto che non si può sempre “tenere insieme tutto” e che a volte è necessario prendere delle posizioni chiare e univoche.
Il 17 gennaio in piazza ci saremo anche noi,
MA TORNEREMO PRESTO, E ANCOR PIU’ NUMEROSE SOTTO AL PALAZZO DELLA REGIONE LOMBARDIA
SABATO 7 FEBBRAIO 2015 ORE 14
VIA MELCHIORRE GIOIA (PALAZZO REGIONE LOMBARDIA)
PER COSTRUIRE INSIEME IL NO EXPO PRIDE 2015:
“RIAPPROPRIARSI DELLE CITTA’ PER DIFENDERSI DA EXPO E OMOFOBIA”
DONNE, FROCE, QUEER VERSO NO EXPO PRIDE 2015
Campagna di crowdfounding: Immaginare T
Immaginare T è un cortometraggio che nasce per dare visibilità a storie e pratiche della comunità queer che raramente hanno spazio nel mondo cinematografico.
Attraverso le esperienze di Andreas e Gea, le protagoniste, Immaginare T racconta di esperienze di transizione, mette in discussione la naturalità del genere, afferma la possibilità di sperimentare la fluidità delle identità e l’autodeterminazione del proprio corpo sessuato.
“Da un punto di vista socio – politico, decidere di narrare l’assunzione di testosterone nelle donne e nelle persone transgender si è rivelato un tema complesso e originale. La documentazione che ha portato alla sceneggiatura originale, è avvenuta attraverso libri, interviste e video elaborati da varie comunità “female to male” (da donna a uomo) e transgender a livello europeo.”
Il progetto ha bisogno di essere supportato e in questo momento è in corso una campagna di crowdfounding per completare cortometraggio.
Godetevi il teaser
e visitate la pagina https://www.produzionidalbasso.com/project/immaginare-t/ per contribuire come potete alla sua realizzazione finale!
Non credo nella verità del sesso, né maschile né femminile. Né con il testosterone, né senza. Il sesso e il genere si producono nella relazione con gli altri. Come Judith ha dimostrato, si tratta di azioni. B.Preciado 2013
(in Judith Butler e Beatriz Preciado a dibattito 2013 https://abbattoimuri.wordpress.com/2013/08/28/judith-butler-e-beatriz-preciado-a-dibattito/)
NÉ NORMALI NÉ SFRUTTATE! Appello per una mobilitazione frocia, femminista e queer contro Expo 2015
Expo2015 non significa solamente cementificazione, mafia e investimenti di ingenti capitali (pubblici) a fini di guadagni (privati). Expo 2015 è l’alibi per giustificare e mettere in campo, da una parte, modelli di ridefinizione del mondo del lavoro, e dall’altra, modelli di controllo e normalizzazione della popolazione. Governo, comune, regione e società private, inclusi i grandi sponsor nazionali ed esteri, sono consapevoli che i propri guadagni si consolideranno dal giorno dopo la chiusura dell’Esposizione Universale a Milano, quando ognuno di essi metterà a bilancio i vantaggi sia politici che economici che Expo avrà loro consegnato.
All’interno del meccanismo di raccolta di consenso che Expo tenta di imbastire attorno a sé, con propaganda e promesse subdolamente efficaci, come collettivi di genere ci interessa soffermarci e capire il significato che assumono la campagna WomenForExpo e la costruzione della GayStreet milanese.
WomenForExpo
Questo progetto coinvolge Comune, Provinica, Regione, Expo SpA, Ministero dell’Economia e delle Finanze e grandi sponsor privati, oltre ad associazioni e realtà femminili e di donne, per lo più legate a quel femminismo della differenza tanto potente in Italia.
WfE è la “quota rosa” di Expo, si avvale di una potente struttura burocratica ed economica, e propone l’immagine di una donna che trova in Expo il proprio posto in quanto imprenditrice, cittadina europea e del mondo,e soprattutto madre, quindi “naturalmente” votata al prendersi cura, al cullare e al “nutrire il pianeta”. E’ un progetto che normalizza la condizione di oppressione delle donne, svelandola e infiocchettandola come fosse qualcosa da accettare e addirittura esaltare.
Da un lato si promuove la donna imprenditrice e di potere, sfruttatrice di altre donne e di altri uomini, e dall’altro si accentua l’oppressione di tutte le altre donne, giustificandola con la “vocazione” alla maternità e alla cura, per impedire qualsiasi rivendicazione di libertà e parità, del resto impossibile in una società che divide per sfruttare meglio. Miliardi di donne che lavorano ogni giorno nei settori dell’alimentazione e della cura non troveranno in Expo nessuno spazio, anzi: si confermerà, tramite lo schiavismo mascherato del “volunteering” e del lavoro precario, la condizione di sfruttamento doppio a cui oggi le donna sono sottoposte.
GayStreet in via Sammartini
Il Comune di Milano ha deciso di ripulire via Sammartini (adiacente alla Stazione Centrale) dalla microcriminalità mettendo in atto politiche securitarie e di controllo, per poi colorarle di rainbow. Telecamere, chiusura del traffico e presenza permanente di polizia locale vorrebbero permettere al turismo (u)omosessuale di Expo di trovare in quella via una risposta commerciale. L’intento – dichiarato – è di puntare a incrementare le cifre del turismo omosessuale e del mercato “pink”. Viene proposto l’unico modello di omosessuale gradito ed integrabile, normalizzato, maschile e di classe media, escludendo completamente i soggetti lgbit*q che non rientrano negli stereotipi accettati socialmente o che non risultano essere utili alle logiche di mercato.
La decisione della costruzione della GayStreet, calata dall’alto e rivolta al turismo e non alle cittadine e ai cittadini milanesi, ci toglie ogni possibilità di autodeterminazione sulla città che viviamo e nella quale subiamo ancora quotidianamente l’esclusione, la discriminazione, l’omofobia.
Sebbene i due progetti abbiano consistenze diverse, sono entrambi accomunati dall’utilizzare le nostre identità e i nostri corpi in nome del profitto, e propongono la sussunzione delle nostre rivendicazioni e delle nostre lotte all’interno di un processo sociale e politica, sempre più escludente, maschile e razzista. La quota rosa di Expo e la GayStreet risultano essere dispositivi di normalizzazione e di reclusione all’interno di spazi fisici e politici, che, vantandosi di essere progetti progressisti, tentano di nascondere lo stato dell’arte dei percorsi di smantellamento dei diritti nel mondo del lavoro, della scuola, della sanità e del welfare, e l’assenza di ogni tipo di diritto per i soggetti lgbit*. Rifiutiamo i modelli di donna e di omosessuale che ci propongono e ci impongono, e distruggiamo i discorsi che la società “per bene” fa in nome nostro e dei nostri desideri.
Invitiamo per questo tutte le singole, le realtà e le collettive femministe, froce, queer, trans, intersex ad un’assemblea nazionale a Milano il 14 Dicembre, per discutere e analizzare collettivamente la consistenza di questi due progetti, e per costruire insieme una mobilitazione nazionale femminista e queer contro Expo e le sue omo/femo-normalizzazioni.
Ci vogliono normali ci avranno ribelli!
Ci danno una strada, ci riprendiamo la città!
Milano, 14 Dicembre, ore 10:00 a RiMake, ex BNL, spazio recuperato in via Astesani 47 (MM3 Affori FN)
Collettivo femminista e lgbit* Le Lucciole, Ambrosia, Collettivo femminista Shora, Donne nella crisi
Per adesioni, informazioni e ospitalità: lucciole@autistiche.org ambrosia.milano@gmail.com
Denunce a Perugia per la manifestazione contro le “Sentinelle in Piedi”
Contro le sentinelle siamo tutt* indecoros* e liber*! Erano sces* in Piazza il 29 marzo a Perugia in maniera spontanea, festosa e rumorosa contro la violenza del silenzio imposto dalle “sentinelle”. A distanza di sei mesi sono stat* denunciat* alcun* attivist* dell’Omphalos Arcigay Arcilesbica Perugia e alcun* militant* del Collettivo Bella Queer Perugia che quel giorno di marzo si trovavano in piazza insieme a tante soggettività del mondo LGBT, femminista e queer della città.
Segnaliamo un articolo dal Blog del Collettivo Femminista Sommosse di Perugia che restituisce quanto sta accadendo.
Le piazze delle nostre citta’ devono essere libere e abitate da soggettivita’ critiche : contro le sentinelle siamo tutte froce!
Molto più di 194 – perchè saremo in piazza
Ferri da calza, prezzemolo, Cytotec, botte, bagni caldi con senape in polvere, massaggi all’addome, segale cornuta … che cos’hanno in comune fra loro? Sono tutti strumenti utilizzati dalle donne nella storia per provocare aborti clandestinamente. Credere che oggi in Italia la realtà degli aborti clandestini sia scomparsa grazie alla legge 194 che regola le interruzioni volontarie di gravidanza è un errore.
Gli aborti clandestini sono ancora una realtà quantificata in 20mila casi l’anno; a questi bisogna aggiungere un altissimo (e crescente) numero di aborti spontanei, molti dei quali, probabilmente, causati dall’utilizzo di farmaci come il Cytotec, un anti-ulcera che ha effetti collaterali dovuti al sovradosaggio che possono provocare un aborto.
Vale la pena farsi una domanda: perché in un paese come l’Italia in cui l’aborto è una scelta consentita e legale, c’è ancora un così alto numero di aborti clandestini? Molte possono essere le risposte, alcune delle quali indubbiamente legate alla cultura e al credo religioso delle donne e quindi legate ad una morale che ancora colpevolizza le donne che compiono la scelta legittima di non avere un figlio, “assassine” secondo molti integralisti; altre risposte invece sono legate proprio alla famosa legge 194, che difendiamo solo perché è l’unica possibilità reale oggi per poter accedere all’interruzione di gravidanza sotto controllo medico, ma che certo è ben lontana dall’essere uno strumento giuridico di garanzia di un diritto.
La storia della legge 194 è una storia di lotte politiche, di donne che si sono battute per ottenere un diritto, per combattere la piaga degli aborti clandestini, è la storia dei primi consultori, è una storia che è passata dalla Corte Costituzionale per approdare ad un referendum che la ha resa una realtà. La storia della 194 è la storia di una vittoria. Nel 1978. Ma quello che è successo in questi 36 anni, purtroppo, è una storia di colonizzazione degli spiragli di ambiguità contenuti in quella legge, che avrebbe dovuto essere aggiornata, modificata, in relazione all’avanzamento delle tecnologie, alla laicizzazione (?) dello Stato, alla nuova realtà che ci si presenta oggi.
La legge 194 inizia così: Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
Se già il prologo fa sorgere dei dubbi sul senso di questa legge (una legge sull’aborto che nell’introduzione specifica e sottolinea che lo Stato tutela la vita umana dal suo inizio? E quando sarebbe questo inizio?), poi le cose peggiorano. Subito nel secondo articolo, in cui si parla di consultori, troviamo che i medici di questi servizi sono tenuti a contribuire a far superare le cause che possono portare all’interruzione della gravidanza. E qui nasce la prima area grigia che ha permesso ai centri di aiuto alla vita, ai militanti pro-life di ogni tipo, agli anti-abortisti della prima e dell’ultima ora, di “occupare” fisicamente gli spazi della scelta delle donne, spazi nei quali dovrebbero essere supportate e non giudicate, e nei quali invece si trovano a dover fornire spiegazioni, a veder messa in discussione la loro decisione, ad essere additate come esseri umani di secondo livello, indegne.
Anche quando le donne superano la barriera degli antiabortisti la strada non è finita: bisogna sottoporsi ad un colloquio psicologico per indagare le motivazioni della scelta, perché la legge dice che il ricorso alla IVG è permesso alla donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica. Il colloquio è spesso umiliante, spesso doloroso, comunque va a ledere il diritto a decidere di sé, del proprio corpo e della propria vita.
E poi, last but not least, ecco la punta di diamante della legge 194: i ginecologi hanno diritto ad esercitare l’obiezione di coscienza. Possono cioè, per ragioni legate alla propria coscienza, rifiutarsi di praticare le interruzioni di gravidanza. Questa legge ha prodotto quasi il 70% dei ginecologi obiettori in Lombardia. Questa legge e il dominio di Comunione e Liberazione nelle strutture sanitarie lombarde, che controlla la carriera dei medici: oggi un ginecologo che vuole fare carriera deve fare obiezione di coscienza, altrimenti passerà le sue giornate a fare interruzioni di gravidanza e non avrà mai successo. Oggi per acceder all’IVG le donne dormono nelle sale d’aspetto la notte prima della data in cui è presente un medico non obiettore. Oggi chi può va ad abortire all’estero, chi non può ricorre al Cytotec, o peggio.
Questa è la verità della legge 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza.
A tutto questo va aggiunto un progressivo smantellamento dello stato sociale, dai tagli sempre più ingenti alla sanità pubblica a quelli all’istruzione, che non fa altro che rafforzare il peso della famiglia, che quasi sempre ricade sulle donne, costrette a farsi carico delle mancanze di uno Stato che crea sempre più disuguaglianze. E nel frattempo la ministra Lorenzin propone un piano fertilità per invitarci ad essere più fertili, più madri (come se essere genitori riguardasse solo le donne) senza offrire nessun tipo di supporto.
Per tutti questi motivi noi NON stiamo difendendo la legge, stiamo rivendicando l’autodeterminazione dei corpi, delle vite, delle scelte. Stiamo chiedendo che l’aborto sia libero, legale e gratuito per tutte, senza distinzioni, senza giudizio.
Crediamo che l’attacco alla legge posto dal Comitato No194, che sfilerà in corteo sabato 12 aprile a Milano, sia assolutamente pretestuoso. Il Comitato è lo stesso che si fa promotore dei presidi di preghiera che si svolgono periodicamente fuori dagli ospedali nei quali, nonostante le difficoltà evidenti, è ancora possibile accedere all’IVG. Questi presidi sono composti da partecipanti che si dividono in cattolici moralisti “pro life” e cattolici moralisti di appartenenza politica all’estrema destra, Forza Nuova e simili. Questi sono i personaggi che propagandano le idee antiabortiste e riempiono le sale d’attesa dei consultori e dei reparti di ginecologia, finalmente il legame fra la chiesa e l’estrema destra risulta evidente, e anche questo dovrebbe far riflettere.
Altre sono le strade da percorrere.
Desideriamo un welfare accessibile a tutti, che permetta alle donne di scegliere se avere o no un figlio, ma che garantisca anche l’accesso agli anticoncezionali e l’educazione sessuale come strumento di prevenzione.
Vogliamo poter esprimere una, o mille, sessualità libera, rivendicare il diritto al piacere, senza rischi e senza giudizi, vogliamo la possibilità di sperimentare tutte le identità che sogniamo, vogliamo poterci trasformare, provare ruoli e relazioni fuori dall’eteronormatività, costruire famiglie a nostra misura, vogliamo conoscere i nostri corpi e parlarne senza tabù.
Per tutti questi motivi il 12 aprile anche noi saremo per le strade di Milano, ci saremo con i nostri metodi e con le nostre parole, con i nostri corpi e con i nostri desideri, ai quali non rinunciamo nonostante gli attacchi della chiesa e la mancanza di coraggio e di rispetto di chi ci governa.
Ci troverete alle Colonne di san Lorenzo, dalle 15,00 per un pomeriggio all’insegna del teatro, della cultura, dei sorrisi e della libertà.
Molto più di 194 – 12 aprile, h 15, Colonne di San Lorenzo
Il 12 aprile a milano ci sarà il corteo del comitato NO-194, gruppo di estremisti cattolici fanatici che vogliono abolire la legge 194, che regola il diritto all’aborto. Inoltre sono contrari all’eutanasia, alla sessualità libera e non riproduttiva e all’omosessualità, ma difendono come unico modello di famiglia quello tradizionale, composta solo da uomo e donna uniti nel sacro vincolo del matrimonio.
La legge 194 viene già svuotata di gran parte del suo senso dall’altissimo tasso di obiettori di coscienza, che rendono difficilissimo abortire. Basti pensare che in Lombardia il 68% dei ginecologi, il 50% degli anestesisti e il 40% del restante personale sanitario si dichiara obiettore.
Rendere illegale l’aborto non significa cancellarlo.
Le donne hanno sempre saputo come interrompere gravidanze indesiderate, la legge ha permesso che gli aborti venissero fatti in condizioni di sicurezza, inoltre, prevedendo un lavoro di prevenzione, con la legalizzazione il numero di aborti è sensibilmente calato. Abolire questa legge significa che le donne che se lo potranno permettere andranno ad abortire all’estero, mentre tutte le altre ricorreranno a mezzi clandestini che mettono a rischio la loro salute e la loro vita.
Questi sono attacchi alla nostra autodeterminazione: cioè la libertà di ognuna e ognuno di decidere consapevolmente del proprio corpo, della propria sessualità e della propria vita. Non devono essere morale, stato e religione a decidere per noi.
Noi vogliamo invece che tutti e tutte abbiano le conoscenze, i mezzi e le strutture per praticare una sessualità consapevole e sana, che sia libera dai rischi delle malattie sessualmente trasmissibili e da gravidanze indesiderate.
Noi vogliamo godere, esplorando tutte le potenzialità del nostro corpo e scoprendo ogni sfumatura del piacere. Vogliamo consultori laici aperti 24H, vogliamo gli anti-abortisti fuori da scuole-ospedali-farmacie, vogliamo contraccettivi gratuiti, vogliamo lubrificanti di prima qualità: per i nostri corpi, decidiamo noi.
il 12 aprile sarà l’occasione di far valere il nostro diritto all’autodeterminazione, ci riuniremo tutte e tutti in piazza e la riempiremo con musica, spettacoli teatrali e controinformazione!
appuntamento in colonne di san lorenzo alle 15.00
Atlantide r-esiste!
Atlantide è stata ed è, per tante di noi, la terra mitica che il suo nome evoca: un luogo di autogestione femminista, lesbica, gay, queer e punk. Uno spazio davvero liberato in cui poter sperimentare i propri desideri e immaginare nuove relazioni, dove i corpi si liberano all’unisono con le menti. Uno spazio più unico che raro che ha dato vita a percorsi, progetti e sogni e che continua a costruire immaginari.
Ora il Comune di Bologna ha fissato una data in cui chi anima e rende possibile Atlantide dovrà lasciare lo spazio di Porta Santo Stefano: 15 anni di storia minacciati da uno sgombero annunciato per il 15 aprile. Il Comune afferma di voler restituire quello spazio alla cittadinanza, senza vedere che Atlantide è già uno spazio di tutt*, attraversato da migliaia di persone e accogliente come pochi. L’amministrazione comunale gioca sulla pelle delle persone misconoscendo la storia di Atlantide: si serve dell’articolo del codice che consente la riappropriazione dei beni confiscati alla mafia utilizzando la retorica della legalità più cieca, che vuole restituire alla collettività uno spazio che collettivo lo è già. Proprio per questo sappiamo che uno sgombero, per quanto doloroso, non potrà cancellare la ricchezza e la diversità di Atlantide, che ha già sparso i suoi semi in moltissimi spazi in tutta Italia, ma non per questo quei muri così carichi di storia e di emozione saranno abbandonati senza lottare.
Atlantide ha scelto di resistere sciogliendo le associazioni che la costituivano per rivendicare fino in fondo la pratica dell’autogestione. In questi tempi bui di attacchi all’autodeterminazione di donne, trans, gay e lesbiche non possiamo che essergliene grate e schierarci al loro fianco, per una resistenza favolosa e scintillante come le Atlantidee.
Ambrosia
Ps: se non l’avete ancora fatto firmate la petizione: http://www.autistici.org/atlantideresiste/