Il Test di Psicoerotica Femminista
12 ottobre – ore 19.00 – Lato B Milano – viale Pasubio 14
Il Laboratorio è gratuito, è necessaria la tessera Arci per l’accesso allo spazio
Laboratorio a cura di Psicoerotica Femminista
L’energia erotica è un motore vitale potentissimo che non è esclusivamente legato al sesso come pratica relazionale condivisa. A volte succede che, a causa di esigenze contestuali o impedimenti esistenziali, risulti difficile trovare una soddisfazione fisica del desiderio sessuale. Ma la sessualità si dispiega in molte forme diverse e il piacere può trovare strade alternative di appagamento. Vieni a scoprire qual è per te la via più appagante da intraprendere per mantenere viva e scoppiettante la fiamma del piacere, insieme alla pornoattivista Slavina e la psicoanalista relazionale Serena Calò.
Psicoerotica Femminista Torna a Milano
Per il ritorno all’azione di Psicoerotica Femminista dopo 2 anni di stop vogliamo riportare a Milano il test-laboratorio “Il piacere è tutto nostro”, che ha già avuto una bella accoglienza nell’evento ConTatto, organizzato dalla Brigata Basaglia nel 2022.
La dinamica è molto semplice, useremo in maniera leggera e scanzonata la fotografia terapeutica in un test a partecipazione aperta: le partecipanti, di fronte ad una serie di domande, dovranno rispondere scegliendo l’immagine che rispecchia la loro risposta.
Scopo del gioco: capire quali sono le forme di sublimazione dell’energia sessuale che sono più confacenti ad ognuna. E a seconda del livello di cerebralità o fisicità, proporremo scherzosamente una Santa a cui affidarsi.
A seguito del laboratorio, potremo avviare una discussione o se l’energia è alta anche dividerci in sottogruppi per sviluppare il potenziale erotico attraverso le pratiche che caratterizzano ogni profilo.
Una risata (sull’aborto) li seppellirà!
Se la lotta è irriverente e ironica
L’aborto riguarda esclusivamente i nostri corpi di donne e persone con utero. Vogliamo ribadirlo in un momento in cui i nostri diritti continuano ad essere minacciati e minati.
Scegliamo di farlo in modo ironico e irriverente per sbriciolare quella mistica della femminilità e maternità che continuano a strumentalizzare.
La scelta di interrompere una gravidanza non è e non deve essere vincolata ad eventi traumatici (stupri, malattie….), ma all’autodeterminazione consapevole di coloro che scelgono cosa è meglio per la propria vita. Rivendicare questa scelta è un atto politico, e come ogni atto politico intendiamo rivendicarlo con forza e con gioia.
E se la gioia che accompagna la nostra forza è vista come leggera e frivola allora ci rivendichiamo anche la frivolezza!
Abbiamo scelto queste parole con cura, lo abbiamo fatto perché la retorica “dio, patria e famiglia”– perbenista e ipocrita –, nasconde molto altro. Vogliamo distruggere questa retorica e lo facciamo con una risata che ci faccia sentire tutte e tutt* dalla stessa parte contro questo Stato.
Opponiamo risate alla vergogna che in tutti i modi vogliono farci provare, creiamo sorellanza per condividere le nostre esperienze di scelta, qualsiasi esse siano. Riempiamo i muri della città rivendicando un nostro diritto e facendolo a modo nostro.
Perché è ancora necessario difendere La legge 194
La legge 194 del 22 maggio 1978, che ci permette l’accesso a un aborto libero sicuro e gratuito, è continuamente sotto attacco. Lo è da sempre e ancora di più da questo governo.
Recentemente lo Stato ha fatto passare nel PNRR ancora maggiori finanziamenti alle associazioni no-choice (che chiamiamo volutamente così perché non sono affatto pro-vita). Le associazioni cattoliche no-choice hanno da sempre lavorato in maniera più o meno visibile per occupare sempre più spazio negli ospedali come nelle scuole e ora, questo governo, intende dargli ancora più potere e soldi. Il mandato di queste associazioni è attaccare le donne e le persone con utero, non riconoscere e non rispettare la scelta di interruzione di gravidanza e lo fanno in ogni modo, definendoci assassine, o imponendoci di ascoltare il battito delle cellule cardiache che si stanno formando.
Per questo vogliamo “molto di più di 194”, vogliamo la garanzia e il rispetto dei nostri diritti e l’eliminazione dell’obiezione di coscienza che li mina. Sei un* ginecolog* e non vuoi fare aborti? Vai a fare dermatologia o cardiochirurgia o quello che ti pare, apriti un chiringuito a Forte dei Marmi, l’importante è che tu sia lontan* dalle nostre ovaie.
Vogliamo la fine dell’obiezione di coscienza perché ormai è una costante trovare ospedali che applicano l’obiezione di struttura.
Vogliamo “molto di più di 194” perché non è accettabile avere negli ospedali in cui andiamo per accedere a un diritto, delle associazioni cattoliche no-choice in uno stato che dovrebbe essere laico. Volessimo (e non vogliamo) incontrarvi andremmo in chiesa.
Vogliamo “molto di più di 194” perché l’aborto è anche un tema di classe. Se puoi pagare non ci sono problemi. Ma se vuoi accedere tramite Sistema Sanitario Nazionale trovi solo ostacoli.
Perché oggi sempre di più non vogliono farci accedere all’aborto?
La retorica utilizzata da questo governo svela, nemmeno troppo sommessamente, i reali interessi di uno Stato che grida all’allarme del calo demografico. L’Italia è uno dei Paesi più vecchi d’Europa (e quindi del mondo). Il problema di questo invecchiamento è interamente di natura economica: se 2/3 della popolazione è “vecchia” (per loro significa non più produttiva) il carico economico di sostenerla e di sostenere interamente le casse dello stato è di quel terzo “giovane” (per loro produttivo e sfruttabile).
Quello che desidera questo Stato , quindi, è nuova forza lavoro. Non c’è alcun interesse per la vita dell* cittadin*.
Questo scenario si completa con i tagli costanti all’istruzione pubblica, alla sanità pubblica, all’edilizia popolare, alle tutele sul lavoro, perché non vogliono solo nuova forza lavoro, ma la vogliono povera, ricattabile, poco istruita per sottopagarla e sfruttarla.
Questo è quello che offre questo Stato. Miseria e sfruttamento addolcito con qualche bonus una tantum.
E quale strumento migliore per spingere “la crescita demografica” se non quello di attaccare i nostri diritti e riproporre (e imporre) il modello riproduttivo imposto da sempre alle donne. Mandato che, nella loro ottica, dobbiamo accettare essendo anche liete di sacrificare tempo e fatica per un lavoro obbligato, gratuito e non riconosciuto. In uno Stato senza welfare, le donne che scelgono di avere figl* sono abbandonate e possono solo appoggiarsi a un welfare familistico costituito dalle persone anziane, le stesse di cui dopo (o nel mentre) dovranno occuparsi.
Questo è uno Stato che mira a colonizzare completamente i nostri corpi.
Uno Stato che cerca in tutti i modi di vietare l’aborto e renderlo non sicuro, perché non smetteremo di abortire se lo vorremo.
Per questo stiamo lottando. Per questo ridiamo in faccia alla loro strumentalizzazione della vergogna e del senso di colpa. Perché sui nostri corpi decidiamo noi.
“E che nel complesso l’umorismo e l’inventiva stanno piuttosto dalla nostra parte” V. Despentes – King Kong Theory
Link utili:
link a obiezione respinta, progetto di mappatura dal basso di farmacie, ospedali e consultori consigliati e non per l’accesso all’aborto libero, sicuro e gratuito: https://obiezionerespinta.info/
“One child nation” – Verso l’8 marzo e oltre
Domenica 3 marzo 2024 dalle ore 19.00 – Piano Terra – Via Federico Confalonieri 3/5 Milano
Organizziamo questa serata per celebrare il compleanno di PT: quale occasione migliore per parlare di femminismi e transfemminismo?
Cine Senzaforum è un progetto di Piano Terra che cerca di portare il cinema gratuitamente in quartiere e oltre,
Ambrosia è una collettiva transfemminista queer che abita PianoTerra,
La collettiva cinese Female Compas è una collettiva di femministe cinesi con base a Milano, unite dalla volontà di fare la differenza nella vita delle donne immigrate in Italia
Se avevate ancora dubbi, avrete la conferma che le istanze di lotta e i desideri di autodeterminazione sono gli stessi anche a km di distanza. Abbiamo pensato che la sinergia potesse essere esplosiva, quindi eccoci qui: durante la serata presenteremo il progetto di Ambrosia sulla cultura dello stupro e proietteremo il film “One child nation”, delle registe Nanfu Wang e Lynn Zhang.
La serata si inserisce nel programma di Non una di Meno Milano di avvicinamento a Lotto Marzo.
Ore 19.00 – aperitivo e chiacchiere
Ore 20.00 – Proiezione dei corti del progetto “Anche questa è cultura dello stupro”
Ore 20.30 – proiezione del film “One child nation”, di Nanfu Wang e Lynn Zhang (Cinese con sottotitoli in italiano)
Anche questa è cultura dello stupro
Scritto da ambrosia in Anche questa è cultura dello stupro il 06/11/2023
Vogliamo Essere Libere, non Coraggiose
La nostra estate come il nostro autunno sono state segnate da violenze di genere e femminicidi, ma sappiamo che non è un problema di questo momento. Sappiamo che c’è un sommerso di violenza che non arriva sulle pagine dei quotidiani e alla denuncia. E conosciamo tutta la violenza che viene agita sulla persone trans, sulle persone razzializzate, sulle persone che esercitano il sex work.
La violenza sulle donne non è un’emergenza, è tradizione: è il massacro del Circeo, è Franca Viola, è Tiziana Cantone. La violenza sui nostri corpi è costante, pervasiva, fondativa delle città, dei posti di lavoro, dei tribunali, della società, degli spazi online e dello stato in cui viviamo.
E mentre si consuma questa quotidiana reiterazione della violenza dobbiamo anche assistere alla retorica del “not all men”. A questo slogan vogliamo dare due risposte:
– se “not all men” agiscono violenza, sono comunque abbastanza da farci sentire minacciate e in pericolo in tutti gli spazi,e questo è un problema;
– se “not all men”, allora la frase possiamo completarla anche in altri modi: “…non tutti gli uomini si oppongono alla violenza sulle donne e di genere”, “…non tutti gli uomini decostruiscono la loro mascolinità egemonica”, “…non tutti gli uomini fanno notare agli altri gli atteggiamenti sessisti e di branco quotidianamente esibiti a casa, al lavoro e nelle chat”.
“Not all men”, ma a Palermo 7 stupratori e, in poche ore, più di 2200 a cercare il video. E anche questa è cultura dello stupro! Una chat di lavoro con 80 maschi che commentano tutti i corpi che passano, altri branchi, altri femmicidi, altri stupratori. Origine, età e appartenenza di classe tutte diverse, eppure qualcosa li accomuna: il genere e l’asimmetria di potere a cui è associato.
Siamo piene di rabbia e, come sempre, la prima domanda che ci poniamo è: cosa ne facciamo della nostra rabbia? Cosa ne facciamo di questo sentimento, generato dall’oppressione e della violenza, che ci muove ogni giorno in tutti gli spazi, dalla strada, al lavoro, alla casa? Come troviamo il modo di evitare la strumentalizzazione della violenza sui nostri corpi in nome di una società del controllo e della limitazione della nostra volontà? Come strasformiamo la nostra rabbia in un motore di cambiamento e di rivoluzione per costruire un mondo attraversabile per i nostri corpi?
Abbiamo deciso di affrontare il tema della violenza di genere mostrandone i pilastri dell’oppressione: cos’è e cosa alimenta la cultura dello stupro, l’asimmetria di potere su cui è fondata la violenza, la vittimizzazione secondaria e la legittimazione della violenza sulle donne da parte dello Stato.
Tanto furiose quanto organizzate.
La “cultura dello stupro” è il retroterra culturale in base al quale la prevaricazione è percepita come sexy e si costituisce l’idea che l’uomo sia strutturalmente un predatore e la donna una preda sessuale.
La cultura dello stupro è alimentata attraverso tutti quei comportamenti quotidiani, talvolta anche inconsapevoli o agiti senza una diretta intenzione violenta, che alimentano l’asimmetria di potere che legittima e giustifica violenza e prevaricazione.
Così viene nutrita la lucida consapevolezza maschile di poter agire violenza, la profonda convinzione di poter disporre dei corpi delle donne e dei corpi subalterni perché visti in un’ottica di possesso e inferiorità, l’affermazione machista nella violazione del consenso.
Talvolta anche con le migliori intenzioni, le parole o le immagini della violenza vengono usate e veicolate con fini di sensibilizzazzione, come se mostrare tutti i dettagli più violenti e denigranti rendesse l’evidenza di uno stupro effettivamente tale.
La violenza, lo stupro, fino al femminicidio, sono tali in quanto agiti contro una donna o un soggetto femminilizzato, considerat* da chi agisce questa violenza a propria disposizione. Per far comprendere la violenza quindi non abbiamo bisogno di metterne in evidenza gli aspetti più crudi, quanto piuttosto abbiamo la necessità di smascherarne i mecccanismi di potere e legittimazione che la sostengono.
L’esposizione delle immagini, delle parole aggressive e denigranti contribuisce alla narrazione del mostro, del lupo cattivo e ad essere esposta è sempre colei che subisce la violenza.
E anche questo alimenta la cultura dello stupro!
Ci chiediamo allora da cosa derivi questo sguardo distorto. Perché su di noi si abbattono paternalismo, infantilizzazione, violenza fisica, violenza psicologica, molestie, catcalling (così detta “violenza di strada”, commenti indesiderati, fischi, allusioni sessuali, ecc.), violenza online (detta impropriamente “revenge porn”, ossia condivisione di materiale intimo senza il consenso della persona, con il fine di nuocerle), gaslighting (forma di violenza psicologica manipolatoria che induce la persona che la subisce a dubitare di se stessa) e stalking (comportamneti continui e molesti con il fine di perseguitare una persona)?
Perché queste figure maschili, appartenenti alla famiglia o alla sfera delle relazioni, si sentono in diritto di agire tutto questo?
Perché la società in cui viviamo, dà loro perennemente alibi e giustificazioni, confermando la possibilità di poter continuare ad agire violenza e prevaricazione. Dai giornali, al governo, ai tribunali.
Ripudiamo il concetto di “mostro” o di “lupo”. Il violento, lo stupratore, il femminicida non sono malati, sono figli sani del patriarcato, come gridiamo consapevolmente dalle piazze.
Certo anche gli uomini che agiscono violenza sono sommersi come noi da una informazione distorta, sommersi da “basta non ubriacarsi”, “era geloso”, “è stato illuso”, “il tik tok in abiti provocanti”, “lei aveva bevuto”, “ha avuto un raptus”. Ma la differenza tra ciò che ne facciamo noi e ciò che ne fanno loro di queste narrazioni è abissale. Noi leggiamo le narrazioni tossiche sui nostri corpi e ne siamo furiose e inorridite. Loro invece le usano come un lascia passare, un lascia passare sostenuto da un governo che non condanna la violenza sulla donne e da una società che la giustifica.
Quando una donna subisce uno stupro si mette in moto il processo di vittimizzazione secondaria, nei tribunali come sui giornali e in TV.
Nei tribunali veniamo infantilizzate quando ci viene detto che non capiamo la differenza tra uno scherzo e una molestia, tra un complimento e il catcalling. Al tempo stesso però c’è un altro sguardo nei confronti del femminicida, la ricerca costante della giustificazione (più che del movente), i raptus e la gelosia che darebbero “un senso” alla violenza e al femminicidio. La ricostruzione della sua vita stranamente non cerca conferme di un agire violento, quanto piuttosto degli aspetti umani che rilegherebbero l’atto violento a una eccezione (anche se poi queste eccezioni sono quotidiane).
Ed è in questo modo che viene agita la vittimizzazione di chi subisce violenza, attraverso un’esposizione intima e continua dai tribunali ai mezzi di comunicazione. L’esposizione di quella violenza e il racconto dei dettagli più brutali e morbosi mettono il corpo (e non solo) delle donne alla mercè di chiunque quella violenza subita (una volta) legga, narri e giudichi più e più volte, riproducendola e riproducendone le ferite.
E dall’altro lato questi uomini che agiscono violenza cosa vedono? Vedono uno stato e una società che odia le donne e le opprime, che alimenta il giudizio e la colpevolizzazione nei loro confronti: metà della popolazione che opprime l’altra avendo tutti gli alibi a disposizione. Spaventare le donne per irrigimentarle. La società che continua a dire a noi di non bere, di non indossare minigonne, di non uscire tardi, di non drogarci è la stessa che non dice mai a loro di non stuprare.
E noi sappiamo che non sono i vestiti, non è l’alcool, non sono le due di notte ma sono questi uomini a stuprarci e a ucciderci. Per quanto i movimenti transfemministi e femministi continuino a ricondare che “no vuol dire no”, che il consenso sia fondamentale, questo sembra non interessare. Lo stupro non ha nulla a che vedere con la sfera del sesso, si tratta di esercizio di potere e sopraffazione.
E a livello governativo cosa succede?
Un governo che odia le donne non può che generare una popolazione maschile che odia le donne.
Giambruno, chiaro megafono delle convinzioni del (maschile voluto) presidente del consiglio, messo appositamente per occuparsi della propaganda di partito, dichiara (la sera del 28 agosto nella trasmissione Tg4 diario del giorno) che “Se eviti di ubriacarti, non incontri il lupo.”
Piantedosi, ministro degli interni, invece dichiara che è compito della scuola educare contro la violenza. E allora dov’è l’educazione sessuale non eteronormata, al consenso e al piacere nelle scuole che tantissimi movimenti femministi chiedono, tra cui il movimento politico transfemminista Non Una Di Meno?
Si tratta di un governo complice e che giustifica questa violenza, che come soluzione parla, tramite Roccella, ministra per le pari opportunità e la famiglia, di vietare il porno ai minorenni. (Su questo rimandiamo a un brillante pezzo di Slavina scritto per il manifesto https://ilmanifesto.it/non-lasciamo-il-porno-ai-maschilisti)
Si tratta di un governo che invece di realizzare manovre per implementare il welfare, sempre più inesistente in Italia, offre come unica soluzione quella carceraria.
Il nostro femminismo è profondamente anticarcerario, le carceri servono solo a riprodurre violenza e oppressione, non vi è rieducazione, solo sovraffollamento e dimenticanza da parte della società.
L’alternativa alla violenza (e alle carceri) è costruire città transfemministe, realizzare uno stato di welfare, in cui davvero ci sia un diritto all’abitare, un reddito universale, di base e inclusivo, scuola e sanità pubbliche finanziate, consultori in ogni quartiere, personale medico nelle strutture scolastiche, educazione sessuale non eteronormata, al consenso e al piacere nelle scuole. Ci servono fondi per le case rifugio e per i centri antiviolenza laici e femministi. Ci servono città attraversabili da tutte le persone senza barriere abiliste. Abbiamo bisogno che la chiesa sia fuori dalla politica di stato e dalla sanità.
Non solo queste città le vogliamo, ma ci servono per poter essere libere di attraversare le strade a tutte le ore del giorno e della notte.
Se domani sono io, se domani non torno, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.
Si mañana soy yo, si mañana no vuelvo, destruyelo todo. Si mañana me toca, quiero ser la ùltima.
Eiaculare è possibile, eiaculare è politico. Proiezione del documentario Female Ejaculation & Other Mysteries of the Universe
Domenica 28 maggio 2023 a PianoTerra, Ambrosia e Valentine Aka Fluida Wolf, in collaborazione con Cine Senzaforum, presentano
Female Ejaculation & Other Mysteries of the Universe
di Julia Ostertag
Dalle 19.30: aperitivo, gadget, musica e chiacchiere
Dalle 21.00: proiezione e dibattito
L’autrice e regista Julia Ostertag ha intrapreso un viaggio autobiografico attraverso il mondo, in parte ancora sconosciuto, dell’eiaculazione femminile. Nel suo percorso ha incontrato sei protagoniste di cinque diversi Paesi che hanno dedicato il loro lavoro a questo tema – nel cinema, nella letteratura, nella performance, nell’attivismo e nell’educazione sessuale. Ha partecipato a workshop pratici e teorici a Roma, Berlino e in Messico, ha intervistato Annie Sprinkle su Skype e ha imparato a conoscere il fallo femminile.
Il film offre nuove prospettive sulla sessualità femminile e una storia politica sessuata del piacere femminile in una raccolta diversificata di filmati d’archivio, interviste e materiale documentario.
Regista / Produttore : Julia Ostertag
Germania / Messico / Italia 2020 / 63 min. inglese / spagnolo / tedesco / italiano OV con sottotitoli in italiano / inglese / tedesco o spagnolo
Interpreti : Annie Sprinkle, Dorrie Lane, Shannon Bell, Laura Méritt, Diana J.Torres, Fluida Wolf
Ambrosia e lo sciopero dell’8 Marzo: per un femminismo anticarcerario
“Essendo stata una volta qua, Goliarda, non sperare più di uscire com’eri prima. Né tu ti sentirai mai più una di fuori, né loro – quelli di fuori – ti riterranno mai più una di loro. Vedrai: quando uscirai ti porteranno magari dei fiori, ti diranno benvenuta, ti abbracceranno, ma il loro sguardo sarà cambiato per sempre quando si poserà su di te.” (G. Sapienza, L’università di Rebibbia)
Femminista come un mondo senza prigioni. Proiezione del documentario “Caine”. Verso l’8 marzo
Dalle 21.00 Proiezione del documentario “Caine. Donne dietro le sbarre”
Come iniziativa di avvicinamento all’8M, la proiezione del documentario è per noi un’occasione per discutere di carcere e femminismo, di corpi, di violenza, di prigioni e ruoli di genere.
La logica della punizione come risposta alla violenza di genere, non solo non “protegge” coloro che subiscono la violenza, ma le rende nuovamente oggetto e non soggetto attivo e pensante, usandole strumentalmente.
Con la prospettiva del femminismo che guarda ad una giustizia trasformativa, siamo convinte che solo eliminando le strutture e le istituzioni che riproducono gerarchie sociali e violenza, la violenza di genere possa essere affrontata.
Se come dice Angela Davis “il carcere è considerato talmente “naturale” che è estremamente difficile immaginare che si possa farne a meno” vogliamo che l’8 marzo sia anche questo sforzo di immaginazione e di lotta, perchè in quanto trasfemministe sappiamo che molte trappole sono nascoste sotto l’idea di natura.
Con tutta la nostra solidarietà ad Alfredo, Anna e a chi lotta in carcere.
no all’ergastolo ostativo, no al 41Bis
IN PIENA VISTA, FUORI CONTROLLO
Hackeriamo i nostri corpi per muoverci su strade sicure
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colori chiari su pelle scura, colori scuri su pelle chiara. Le direzioni insolite sono molto
importanti per spezzare effettivamente il volto.
si intersecano è una caratteristica facciale chiave.
caratteristica facciale chiave. Puoi coprire parte di una delle regioni con il trucco oppure
con i capelli.
l’altro no.
rilevamento del viso. Puoi modificare la forma della testa con acconciature o accessori.
➤ Evita di indossare maschere perché illegali in alcune città. Invece di nascondere il tuo
viso, modifica il contrasto, i gradienti tonali e la relazione spaziale delle aree scure e chiare
usando capelli, trucco e / o accessori unici. Per esempio tagliare la frangetta in modo
asimmetrico oppure far passare una ciocca di capelli davanti al viso. Ci sono anche
accessori costruiti appositamente a questo scopo, ma nulla ci vieta di crearli da sol* e
indossarli.