“One child nation” – Verso l’8 marzo e oltre

 

Domenica 3 marzo 2024 dalle ore 19.00 – Piano Terra – Via Federico Confalonieri 3/5 Milano

Organizziamo questa serata per celebrare il compleanno di PT: quale occasione migliore per parlare di femminismi e transfemminismo?

Cine Senzaforum è un progetto di Piano Terra che cerca di portare il cinema gratuitamente in quartiere e oltre,

Ambrosia è una collettiva transfemminista queer che abita PianoTerra,

La collettiva cinese Female Compas è una collettiva di femministe cinesi con base a Milano, unite dalla volontà di fare la differenza nella vita delle donne immigrate in Italia

Se avevate ancora dubbi, avrete la conferma che le istanze di lotta e i desideri di autodeterminazione sono gli stessi anche a km di distanza. Abbiamo pensato che la sinergia potesse essere esplosiva, quindi eccoci qui: durante la serata presenteremo il progetto di Ambrosia sulla cultura dello stupro e proietteremo il film “One child nation”, delle registe Nanfu Wang e Lynn Zhang.
La serata si inserisce nel programma di Non una di Meno Milano di avvicinamento a Lotto Marzo.

Ore 19.00 – aperitivo e chiacchiere
Ore 20.00 – Proiezione dei corti del progetto “Anche questa è cultura dello stupro”
Ore 20.30 – proiezione del film “One child nation”, di Nanfu Wang e Lynn Zhang (Cinese con sottotitoli in italiano)

 

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Anche questa è cultura dello stupro

 

Vogliamo Essere Libere, non Coraggiose 

 

La nostra estate come il nostro autunno sono state segnate da violenze di genere e femminicidi, ma sappiamo che non è un problema di questo momento. Sappiamo che c’è un sommerso di violenza che non arriva sulle pagine dei quotidiani e alla denuncia. E conosciamo tutta la violenza che viene agita sulla persone trans, sulle persone razzializzate, sulle persone che esercitano il sex work.

La violenza sulle donne non è un’emergenza, è tradizione: è il massacro del Circeo, è Franca Viola, è Tiziana Cantone. La violenza sui nostri corpi è costante, pervasiva, fondativa delle città, dei posti di lavoro, dei tribunali, della società, degli spazi online e dello stato in cui viviamo.

E mentre si consuma questa quotidiana reiterazione della violenza dobbiamo anche assistere alla retorica del “not all men”. A questo slogan vogliamo dare due risposte:
– se “not all men” agiscono violenza, sono comunque abbastanza da farci sentire minacciate e in pericolo in tutti gli spazi,e questo è un problema;
– se “not all men”, allora la frase possiamo completarla anche in altri modi: “…non tutti gli uomini si oppongono alla violenza sulle donne e di genere”, “…non tutti gli uomini decostruiscono la loro mascolinità egemonica”, “…non tutti gli uomini fanno notare agli altri gli atteggiamenti sessisti e di branco quotidianamente esibiti a casa, al lavoro e nelle chat”.

“Not all men”, ma a Palermo 7 stupratori e, in poche ore, più di 2200 a cercare il video. E anche questa è cultura dello stupro! Una chat di lavoro con 80 maschi che commentano tutti i corpi che passano, altri branchi, altri femmicidi, altri stupratori. Origine, età e appartenenza di classe tutte diverse, eppure qualcosa li accomuna: il genere e l’asimmetria di potere a cui è associato.

Siamo piene di rabbia e, come sempre, la  prima domanda che ci poniamo è: cosa ne facciamo della nostra rabbia? Cosa ne facciamo di questo sentimento, generato dall’oppressione e della violenza, che ci muove ogni giorno in tutti gli spazi, dalla strada, al lavoro, alla casa? Come troviamo il modo di evitare la strumentalizzazione della violenza sui nostri corpi in nome di una società del controllo e della limitazione della nostra volontà? Come strasformiamo la nostra rabbia in un motore di cambiamento e di rivoluzione per costruire un mondo attraversabile per i nostri corpi?

Abbiamo deciso di affrontare il tema della violenza di genere mostrandone i pilastri dell’oppressione: cos’è e cosa alimenta la cultura dello stupro, l’asimmetria di potere su cui è fondata la violenza, la vittimizzazione secondaria e la legittimazione della violenza sulle donne da parte dello Stato.
Tanto furiose quanto organizzate.

La “cultura dello stupro” è il retroterra culturale in base al quale la prevaricazione è percepita come sexy e si costituisce l’idea che l’uomo sia strutturalmente un predatore e la donna una preda sessuale.
La cultura dello stupro è alimentata attraverso tutti quei comportamenti quotidiani, talvolta anche inconsapevoli o agiti senza una diretta intenzione violenta, che alimentano l’asimmetria di potere che legittima e giustifica violenza e prevaricazione.
Così viene nutrita la lucida consapevolezza maschile di poter agire violenza, la profonda convinzione di poter disporre dei corpi delle donne e dei corpi subalterni perché visti in un’ottica di possesso e inferiorità, l’affermazione machista nella violazione del consenso.
Talvolta anche con le migliori intenzioni, le parole o le immagini della violenza vengono usate e veicolate con fini di sensibilizzazzione, come se mostrare tutti i dettagli più violenti e denigranti rendesse l’evidenza di uno stupro effettivamente tale.
La violenza, lo stupro, fino al femminicidio, sono tali in quanto agiti contro una donna o un soggetto femminilizzato, considerat* da chi agisce questa violenza a propria disposizione. Per far comprendere la violenza quindi non abbiamo bisogno di metterne in evidenza gli aspetti più crudi, quanto piuttosto abbiamo la necessità di smascherarne i mecccanismi di potere e legittimazione che la sostengono.
L’esposizione delle immagini, delle parole aggressive e denigranti contribuisce alla narrazione del mostro, del lupo cattivo e ad essere esposta è sempre colei che subisce la violenza.
E anche questo alimenta la cultura dello stupro!

Ci chiediamo allora da cosa derivi questo sguardo distorto. Perché su di noi si abbattono paternalismo, infantilizzazione, violenza fisica, violenza psicologica, molestie, catcalling (così detta “violenza di strada”, commenti indesiderati, fischi, allusioni sessuali, ecc.), violenza online (detta impropriamente “revenge porn”, ossia condivisione di materiale intimo senza il consenso della persona, con il fine di nuocerle), gaslighting (forma di violenza psicologica manipolatoria che induce la persona che la subisce a dubitare di se stessa) e stalking (comportamneti continui e molesti con il fine di perseguitare una persona)?
Perché queste figure maschili, appartenenti alla famiglia o alla sfera delle relazioni, si sentono in diritto di agire tutto questo?
Perché la società in cui viviamo, dà loro perennemente alibi e giustificazioni, confermando la possibilità di poter continuare ad agire violenza e prevaricazione. Dai giornali, al governo, ai tribunali.
Ripudiamo il concetto di “mostro” o di “lupo”. Il violento, lo stupratore, il femminicida non sono malati, sono figli sani del patriarcato, come gridiamo consapevolmente dalle piazze.

Certo anche gli uomini che agiscono violenza sono sommersi come noi da una informazione distorta, sommersi da “basta non ubriacarsi”, “era geloso”, “è stato illuso”, “il tik tok in abiti provocanti”, “lei aveva bevuto”, “ha avuto un raptus”. Ma la differenza tra ciò che ne facciamo noi e ciò che ne fanno loro di queste narrazioni è abissale. Noi leggiamo le narrazioni tossiche sui nostri corpi e ne siamo furiose e inorridite. Loro invece le usano come un lascia passare, un lascia passare sostenuto da un governo che non condanna la violenza sulla donne e da una società che la giustifica.

Quando una donna subisce uno stupro si mette in moto il processo di vittimizzazione secondaria, nei tribunali come sui giornali e in TV.

Nei tribunali veniamo infantilizzate quando ci viene detto che non capiamo la differenza tra uno scherzo e una molestia, tra un complimento e il catcalling. Al tempo stesso però c’è un altro sguardo nei confronti del femminicida, la ricerca costante della giustificazione (più che del movente), i raptus e la gelosia che darebbero “un senso” alla violenza e al femminicidio. La ricostruzione della sua vita stranamente non cerca conferme di un agire violento, quanto piuttosto degli aspetti umani che rilegherebbero l’atto violento a una eccezione (anche se poi queste eccezioni sono quotidiane).

Ed è in questo modo che viene agita la vittimizzazione di chi subisce violenza, attraverso un’esposizione intima e continua dai tribunali ai mezzi di comunicazione. L’esposizione di quella violenza e il racconto dei dettagli più brutali e morbosi mettono il corpo (e non solo) delle donne alla mercè di chiunque quella violenza subita (una volta) legga, narri e giudichi più e più volte, riproducendola e riproducendone le ferite.

E dall’altro lato questi uomini che agiscono violenza cosa vedono? Vedono uno stato e una società che odia le donne e le opprime, che alimenta il giudizio e la colpevolizzazione nei loro confronti: metà della popolazione che opprime l’altra avendo tutti gli alibi a disposizione. Spaventare le donne per irrigimentarle. La società che continua a dire a noi di non bere, di non indossare minigonne, di non uscire tardi, di non drogarci è la stessa che non dice mai a loro di non stuprare.

E noi sappiamo che non sono i vestiti, non è l’alcool, non sono le due di notte ma sono questi uomini a stuprarci e a ucciderci. Per quanto i movimenti transfemministi e femministi continuino a ricondare che “no vuol dire no”, che il consenso sia fondamentale, questo sembra non interessare. Lo stupro non ha nulla a che vedere con la sfera del sesso, si tratta di esercizio di potere e sopraffazione.

E a livello governativo cosa succede?
Un governo che odia le donne non può che generare una popolazione maschile che odia le donne.
Giambruno, chiaro megafono delle convinzioni del (maschile voluto) presidente del consiglio, messo appositamente per occuparsi della propaganda di partito, dichiara (la sera del 28 agosto nella trasmissione Tg4 diario del giorno) che “Se eviti di ubriacarti, non incontri il lupo.”
Piantedosi, ministro degli interni, invece dichiara che è compito della scuola educare contro la violenza. E allora dov’è l’educazione sessuale non eteronormata, al consenso e al piacere nelle scuole che tantissimi movimenti femministi chiedono, tra cui il movimento politico transfemminista Non Una Di Meno?

Si tratta di un governo complice e che giustifica questa violenza, che come soluzione parla, tramite Roccella, ministra per le pari opportunità e la famiglia, di vietare il porno ai minorenni. (Su questo rimandiamo a un brillante pezzo di Slavina scritto per il manifesto https://ilmanifesto.it/non-lasciamo-il-porno-ai-maschilisti)

Si tratta di un governo che invece di realizzare manovre per implementare il welfare, sempre più inesistente in Italia, offre come unica soluzione quella carceraria.
Il nostro femminismo è profondamente anticarcerario, le carceri servono solo a riprodurre violenza e oppressione, non vi è rieducazione, solo sovraffollamento e dimenticanza da parte della società.

L’alternativa alla violenza (e alle carceri) è costruire città transfemministe, realizzare uno stato di welfare, in cui davvero ci sia un diritto all’abitare, un reddito universale, di base e inclusivo, scuola e sanità pubbliche finanziate, consultori in ogni quartiere, personale medico nelle strutture scolastiche, educazione sessuale non eteronormata, al consenso e al piacere nelle scuole. Ci servono fondi per le case rifugio e per i centri antiviolenza laici e femministi. Ci servono città attraversabili da tutte le persone senza barriere abiliste. Abbiamo bisogno che la chiesa sia fuori dalla politica di stato e dalla sanità.
Non solo queste città le vogliamo, ma ci servono per poter essere libere di attraversare le strade a tutte le ore del giorno e della notte.

 

Se domani sono io, se domani non torno, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.
Si mañana soy yo, si mañana no vuelvo, destruyelo todo. Si mañana me toca, quiero ser la ùltima.

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Eiaculare è possibile, eiaculare è politico. Proiezione del documentario Female Ejaculation & Other Mysteries of the Universe

Domenica 28 maggio 2023 a PianoTerra, Ambrosia e Valentine Aka Fluida Wolf, in collaborazione con Cine Senzaforum, presentano

Female Ejaculation & Other Mysteries of the Universe

di Julia Ostertag

Dalle 19.30: aperitivo, gadget, musica e chiacchiere

Dalle 21.00: proiezione e dibattito

 

 

L’autrice e regista Julia Ostertag ha intrapreso un viaggio autobiografico attraverso il mondo, in parte ancora sconosciuto, dell’eiaculazione femminile. Nel suo percorso ha incontrato sei protagoniste di cinque diversi Paesi che hanno dedicato il loro lavoro a questo tema – nel cinema, nella letteratura, nella performance, nell’attivismo e nell’educazione sessuale. Ha partecipato a workshop pratici e teorici a Roma, Berlino e in Messico, ha intervistato Annie Sprinkle su Skype e ha imparato a conoscere il fallo femminile.

Il film offre nuove prospettive sulla sessualità femminile e una storia politica sessuata del piacere femminile in una raccolta diversificata di filmati d’archivio, interviste e materiale documentario.

 

 

 

 

 

 

Regista / Produttore : Julia Ostertag
Germania / Messico / Italia 2020 / 63 min. inglese / spagnolo / tedesco / italiano OV con sottotitoli in italiano / inglese / tedesco o spagnolo

Interpreti : Annie Sprinkle, Dorrie Lane, Shannon Bell, Laura Méritt, Diana J.Torres, Fluida Wolf

 

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Ambrosia e lo sciopero dell’8 Marzo: per un femminismo anticarcerario

“Essendo stata una volta qua, Goliarda, non sperare più di uscire com’eri prima. Né tu ti sentirai mai più una di fuori, né loro – quelli di fuori – ti riterranno mai più una di loro. Vedrai: quando uscirai ti porteranno magari dei fiori, ti diranno benvenuta, ti abbracceranno, ma il loro sguardo sarà cambiato per sempre quando si poserà su di te.” (G. Sapienza, L’università di Rebibbia)

Siamo qui e siamo ovunque anche per tutte quelle donne e soggettività che la piazza non possono attraversarla. Oggi come Ambrosia parliamo di transfemminismo anticarcerario. 
Come dice Angela Davis “il carcere è considerato talmente “naturale” che è estremamente difficile immaginare che si possa farne a meno” e allora vogliamo che questa giornata di sciopero sia anche questo, uno sforzo di immaginazione e di lotta contro il carcere, per una giustizia trasformativa.

 

In questi mesi il tema del carcere e del 41bis è uscito dall’ombra, ma la luce è quella del potere e dell’oppressore. Il carcere è un grande rimosso della società che abitiamo. Le persone recluse vengono disumanizzate e poi dimenticate. E se il carcere è il grande rimosso, quando se ne parla si tratta sempre di carceri maschili. Mai una parola sulle donne detenute, o sulle persone trans, rinchiuse in spazi che non rispettano la loro autodeterminazione. Come in ogni aspetto della nostra società, anche quello più ghettizzato, le soggettività LGBTQIA+ e le donne sono le dimenticate tra le dimenticate. 

 

E in ambito detentivo maschile, si tace sempre che sono le donne a fare lavoro di cura, con immense file nei giorni di visita, cariche di pacchi. 
Le stesse file ci sono fuori dalle strutture femminili, ma sempre a carico di altre donne. 
La rimozione delle persone carcerate però, non è casuale, è strutturale e ragionata, soprattutto in una città come Milano. Nella società del controllo, le carceri non servono più a incutere timore, bensì tolgono spazio alla possibilità di espandere ulteriormente la gentrificazione. 
Non ci stupisce che torni il tema dello spostamento di San Vittore fuori dalla città, giustificato da sovraffollamento al 190% e dalla fatiscenza. 
Il sindaco Sala sta riprendendo le fila di un discorso che sentiamo dal 2001, sotto Albertini. Carceri lontane dagli occhi, lontane dalla coscienza: fuori dalla città.

 

Noi non dimentichiamo! Vogliamo una città attraversabile da tutte le persone senza ghettizzazioni razziali, di classe e di genere. 
Vogliamo vivere la città e non essere costrette a cercare di sopravvivere ad essa. Vogliamo fondi per sanità e scuola pubblica
vogliamo un reddito di autodeterminazione universale di base e inclusivo. 
Vogliamo l’abolizione delle carceri con la stessa forza e rabbia con cui vogliamo scardinare le istituzioni che riproducono le gerarchie sociali e le violenze che ci opprimono ogni giorno.

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Femminista come un mondo senza prigioni. Proiezione del documentario “Caine”. Verso l’8 marzo

 

Dalle 19.30 Aperitivo di autofinanziamento verso lo sciopero transfemminista dell’8 marzo
Dalle 21.00 Proiezione del documentario “Caine. Donne dietro le sbarre”
@PianoTerra – Via Confalonieri 3

 

Il 26 febbraio Ambrosia, in collaborazione con Cinesenzaforum proietta “Caine”, un documentario di Amalia De Simone e Assia Fiorillo nato nei penitenziari femminili di Fuorni-Salerno e Pozzuoli.
Come iniziativa di avvicinamento all’8M, la proiezione del documentario è per noi un’occasione per discutere di carcere e femminismo, di corpi, di violenza, di prigioni e ruoli di genere.

 

Poiché il nostro è un femminismo anticarcerario, siamo convinte che la violenza di genere sia sistemica e strutturale e che la sua pervasività nella società non possa essere affrontata con la criminalizzazione e la reclusione dei singoli individui.
La logica della punizione come risposta alla violenza di genere, non solo non “protegge” coloro che subiscono la violenza, ma le rende nuovamente oggetto e non soggetto attivo e pensante, usandole strumentalmente.
Con la prospettiva del femminismo che guarda ad una giustizia trasformativa, siamo convinte che solo eliminando le strutture e le istituzioni che riproducono gerarchie sociali e violenza, la violenza di genere possa essere affrontata.
Il sistema detentivo, infatti, riproduce e rinforza non solo segregazioni razziali e di classe, ma anche di genere. Per questo le nostre riflessioni sull’abolizione delle carceri sono inscindibili dal nostro transfemminismo e i nostri desideri di liberazione passano necessariamente dalla fine delle prigioni.
Vogliamo, oggi più che mai, che il nostro 8 marzo sia una giornata capace di mettere al centro le contraddizioni e le oppressioni del complesso carcerario, che è un luogo dove emergono con forza le linee di potere della nostra società e per questo non può che essere uno dei luoghi da smantellare per sovvertirle.
Se come dice Angela Davis “il carcere è considerato talmente “naturale” che è estremamente difficile immaginare che si possa farne a meno” vogliamo che l’8 marzo sia anche questo sforzo di immaginazione e di lotta, perchè in quanto trasfemministe sappiamo che molte trappole sono nascoste sotto l’idea di natura.

 

Con tutta la nostra solidarietà ad Alfredo, Anna e a chi lotta in carcere.

no all’ergastolo ostativo, no al 41Bis

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IN PIENA VISTA, FUORI CONTROLLO

Hackeriamo i nostri corpi per muoverci su strade sicure

“Sicurezza fa rima con controllo, sempre più capillare, sempre più pervasivo.
Sono lontani gli anni in cui improvvisavamo spettacoli teatrali davanti alle telecamere di sorveglianza, ora le macchine imparano a riconoscere le nostre facce e noi, sempre di più, impariamo a disciplinarci e muoverci nello spazio pubblico, semi-pubblico e privato come se non avessimo niente da nascondere.
Lavoriamo, gratuitamente, per produrre dati con cui altri si arricchiscono e per permettere alle macchine di prevenire crimini e disordini sulla base di algoritmi nutriti delle gerarchie e delle oppressioni sociali che quei crimini e quei disordini producono. In una sorta di lombrosianesimo di ritorno accettiamo di accumulare dati per confermare gli stereotipi e le disparità di potere che ne orientano la classificazione.
Le nostre facce e i nostri corpi sono il luogo di politiche di controllo, di estrazione di valore e di pratiche securitarie che riproducono oppressioni.
Ma noi donne e soggettività LGBTQIA+, così come le persone razializzate, questo lo sappiamo da sempre, perché è sui nostri corpi che il potere si è esercitato per creare la norma che ci esclude e quella che ci disciplina. E allora sovvertiamo gli strumenti della nostra oppressione per aprire spazi di libertà. I trucchi che ci avete insegnato ad usare per avere pelle di pesca, occhi grandi e labbra a cuore li riutilizziamo per sfuggire alle tecniche di riconoscimento facciale, attraverso linee e forme che ci rendono invisibili, anche se pienamente in vista. Il patriarcato ci insegna che siamo solo corpi, da scrutare, controllare, migliorare, valorizzare, e questo sapere accumulato su di noi, da noi stesse, lo rimettiamo in campo come potenza che sovverte i paradigmi securitari in nome del principio che le strade sicure le facciano le soggettività che le attraversano.
Ci viene chiesto costantemente di essere visibili, per stabilire l’ordine, noi lo saremo così tanto da spazzarlo via”

Sulla base di queste riflessioni abbiamo tenuto un laboratorio all’interno del Museo della scienza e della tecnica, aperto di venerdì sera per la Notte dei ricercatori e delle ricercatrici. Abbiamo dato vita a uno spazio variamente attraversato per riflettere insieme sulle tecnologie della sicurezza, sulla loro pervasività, ma anche sul rapporto più ampio tra noi e gli ambienti digitali. Si è trattato, quindi, per prima cosa di fermarci e porre l’attenzione sulla nostra visibilità e sulle richieste di trasparenza che costantemente subiamo.
Abbiamo lavorato per mostrare come una posizione di subalternità – come quella di avere corpi femminili nello spazio pubblico – ci permetta di essere più consapevoli di cosa voglia dire abitare uno spazio non neutro, ma denso di sguardi. E abbiamo anche provato a mostrare come si possano sovvertire alcuni elementi di oppressione: se il trucco è una competenza che ci si aspetta dalle donne, possiamo usare questo sapere per creare qualcosa di inedito.

QUANDO LA PRATICA E’ POLITICA

➤ applica un trucco che contrasta con il tono della tua pelle in toni e direzioni insoliti:
colori chiari su pelle scura, colori scuri su pelle chiara. Le direzioni insolite sono molto
importanti per spezzare effettivamente il volto.
➤ Oscura parzialmente l’area del ponte nasale: la regione in cui il naso, gli occhi e la fronte
si intersecano è una caratteristica facciale chiave.
➤ Oscura parzialmente una delle regioni oculari: la posizione degli occhi è una
caratteristica facciale chiave. Puoi coprire parte di una delle regioni con il trucco oppure
con i capelli.
➤ Gli algoritmi di riconoscimento facciale prevedono la simmetria tra i lati sinistro e destro del viso. Sviluppando un aspetto asimmetrico, soprattutto sugli zigomi, è possibile ridurre la probabilità di essere rilevati. Per esempio colorando a contrasto un lato del viso e
l’altro no.
➤ Oscurare la forma ellittica di una testa può anche migliorare la tua capacità di bloccare il
rilevamento del viso. Puoi modificare la forma della testa con acconciature o accessori.
➤ Evita di indossare maschere perché illegali in alcune città. Invece di nascondere il tuo
viso, modifica il contrasto, i gradienti tonali e la relazione spaziale delle aree scure e chiare
usando capelli, trucco e / o accessori unici. Per esempio tagliare la frangetta in modo
asimmetrico oppure far passare una ciocca di capelli davanti al viso. Ci sono anche
accessori costruiti appositamente a questo scopo, ma nulla ci vieta di crearli da sol* e
indossarli.

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“In piena vista, fuori controllo” workshop al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano

Venerdì 30 settembre 2022
ore 19.30-21.00 e 21.00-22.30

Come collettiva transfemminista queer milanese Ambrosia presentiamo un workshop interattivo che unisce teoria e pratica politica.
Si affronta il tema del controllo dei corpi nello spazio pubblico e su come sovvertirlo utilizzando gli stessi strumenti che ci opprimono.
I trucchi che ci hanno insegnato ad usare per avere pelle di pesca, occhi grandi e labbra a cuore li riutilizziamo per sfuggire alle tecniche di riconoscimento facciale, attraverso linee e forme che ci rendono invisibili, anche se pienamente in vista. Se il patriarcato lavora facendo dei nostri corpi spazi da scrutare, controllare, migliorare, valorizzare, noi li mettiamo in campo come potenza che sovverte, perché le strade sicure le fanno le soggettività che le attraversano.
Proveremo dunque a sovvertire gli strumenti stessi che riproducono le oppressioni per creare spazi di libertà.

Hackeriamo i nostri corpi per essere in piena vista, fuori controllo.

Maggiori informazioni sul workshop si trovano qui https://www.museoscienza.org/it/offerta/open-night-settembre-2022

Per approfondire sulle precedenti iniziative e trovare spunti di lettura parti da qui https://ambrosia.noblogs.org/post/2020/02/21/in-piena-vista-fuori-controllo/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Presentazione di “Questo non è amore”

Sabato 14 Maggio dalle 19.00 presentiamo Questo non è amore. L’amore non uccide.

Ne parliamo con l’autrice e fumettista, Sted.

Dalle 18.30 ci trovate già a Piano Terra (via Confalonieri 3 Milano) per aperitivo e musica.

 


 

“Questo non è amore – L’amore non uccide” è un fumetto autobiografico, che già dal titolo vuole ribaltare la narrazione mainstream che viene fatta sulla violenza di genere. Nel libro Sted ripercorre la relazione col suo ex ragazzo, un ragazzo ‘normale’, un ragazzo violento, senza fare sconti – neanche a se stessa – e mostrando le varie facce della violenza di genere: psicologica e fisica, primaria e secondaria. Nessun ‘raptus’, nessun ‘gigante buono’, niente ‘gelosia accecante’ o ‘troppo amore’, bensì la facilità con cui si può cadere in una relazione violenta, perché un violento non gira col marchio: “Violento” in fronte, e dall’altra parte l’enorme difficoltà ad uscirne, in una società dove nessuno è disposto ad ascoltare la vittima e schierarsi dalla sua parte, generando un loop infinito di violenza, angoscia e colpevolizzazione della vittima; una società che sceglie deliberatamente di ignorare, finanche giustificare, il ‘bravo ragazzo’ che saluta sempre e che, al contempo, ritiene di poter decidere come e se una donna debba vivere: questo ci mostra Sted, col suo tratto graffiante, evidenziando, tavola dopo tavola, come e perché la violenza di genere ci riguardi davvero tutte e tutti e che chi resta indifferente è inevitabilmente parte del problema. Questo libro ti impone di fare i conti con la tua fetta di responsabilità, iniziando col non voltarti (più) dall’altra parte.


Sted, pseudonimo di Stefania Lancia, è una fumettista marchigiana classe 1993.

Ha autoprodotto la prima parte del suo libro: “Questo non è amore – L’amore non uccide” nel gennaio 2020 e lo ha pubblicato interamente con la piattaforma di self-publishing ‘Youcanprint’ a ottobre 2021.

Sito: https://sted.world

Facebook: Sted

Instagram: @zerorisposte

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