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“One child nation” – Verso l’8 marzo e oltre

 

Domenica 3 marzo 2024 dalle ore 19.00 – Piano Terra – Via Federico Confalonieri 3/5 Milano

Organizziamo questa serata per celebrare il compleanno di PT: quale occasione migliore per parlare di femminismi e transfemminismo?

Cine Senzaforum è un progetto di Piano Terra che cerca di portare il cinema gratuitamente in quartiere e oltre,

Ambrosia è una collettiva transfemminista queer che abita PianoTerra,

La collettiva cinese Female Compas è una collettiva di femministe cinesi con base a Milano, unite dalla volontà di fare la differenza nella vita delle donne immigrate in Italia

Se avevate ancora dubbi, avrete la conferma che le istanze di lotta e i desideri di autodeterminazione sono gli stessi anche a km di distanza. Abbiamo pensato che la sinergia potesse essere esplosiva, quindi eccoci qui: durante la serata presenteremo il progetto di Ambrosia sulla cultura dello stupro e proietteremo il film “One child nation”, delle registe Nanfu Wang e Lynn Zhang.
La serata si inserisce nel programma di Non una di Meno Milano di avvicinamento a Lotto Marzo.

Ore 19.00 – aperitivo e chiacchiere
Ore 20.00 – Proiezione dei corti del progetto “Anche questa è cultura dello stupro”
Ore 20.30 – proiezione del film “One child nation”, di Nanfu Wang e Lynn Zhang (Cinese con sottotitoli in italiano)

 

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Eiaculare è possibile, eiaculare è politico. Proiezione del documentario Female Ejaculation & Other Mysteries of the Universe

Domenica 28 maggio 2023 a PianoTerra, Ambrosia e Valentine Aka Fluida Wolf, in collaborazione con Cine Senzaforum, presentano

Female Ejaculation & Other Mysteries of the Universe

di Julia Ostertag

Dalle 19.30: aperitivo, gadget, musica e chiacchiere

Dalle 21.00: proiezione e dibattito

 

 

L’autrice e regista Julia Ostertag ha intrapreso un viaggio autobiografico attraverso il mondo, in parte ancora sconosciuto, dell’eiaculazione femminile. Nel suo percorso ha incontrato sei protagoniste di cinque diversi Paesi che hanno dedicato il loro lavoro a questo tema – nel cinema, nella letteratura, nella performance, nell’attivismo e nell’educazione sessuale. Ha partecipato a workshop pratici e teorici a Roma, Berlino e in Messico, ha intervistato Annie Sprinkle su Skype e ha imparato a conoscere il fallo femminile.

Il film offre nuove prospettive sulla sessualità femminile e una storia politica sessuata del piacere femminile in una raccolta diversificata di filmati d’archivio, interviste e materiale documentario.

 

 

 

 

 

 

Regista / Produttore : Julia Ostertag
Germania / Messico / Italia 2020 / 63 min. inglese / spagnolo / tedesco / italiano OV con sottotitoli in italiano / inglese / tedesco o spagnolo

Interpreti : Annie Sprinkle, Dorrie Lane, Shannon Bell, Laura Méritt, Diana J.Torres, Fluida Wolf

 

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Ambrosia e lo sciopero dell’8 Marzo: per un femminismo anticarcerario

“Essendo stata una volta qua, Goliarda, non sperare più di uscire com’eri prima. Né tu ti sentirai mai più una di fuori, né loro – quelli di fuori – ti riterranno mai più una di loro. Vedrai: quando uscirai ti porteranno magari dei fiori, ti diranno benvenuta, ti abbracceranno, ma il loro sguardo sarà cambiato per sempre quando si poserà su di te.” (G. Sapienza, L’università di Rebibbia)

Siamo qui e siamo ovunque anche per tutte quelle donne e soggettività che la piazza non possono attraversarla. Oggi come Ambrosia parliamo di transfemminismo anticarcerario. 
Come dice Angela Davis “il carcere è considerato talmente “naturale” che è estremamente difficile immaginare che si possa farne a meno” e allora vogliamo che questa giornata di sciopero sia anche questo, uno sforzo di immaginazione e di lotta contro il carcere, per una giustizia trasformativa.

 

In questi mesi il tema del carcere e del 41bis è uscito dall’ombra, ma la luce è quella del potere e dell’oppressore. Il carcere è un grande rimosso della società che abitiamo. Le persone recluse vengono disumanizzate e poi dimenticate. E se il carcere è il grande rimosso, quando se ne parla si tratta sempre di carceri maschili. Mai una parola sulle donne detenute, o sulle persone trans, rinchiuse in spazi che non rispettano la loro autodeterminazione. Come in ogni aspetto della nostra società, anche quello più ghettizzato, le soggettività LGBTQIA+ e le donne sono le dimenticate tra le dimenticate. 

 

E in ambito detentivo maschile, si tace sempre che sono le donne a fare lavoro di cura, con immense file nei giorni di visita, cariche di pacchi. 
Le stesse file ci sono fuori dalle strutture femminili, ma sempre a carico di altre donne. 
La rimozione delle persone carcerate però, non è casuale, è strutturale e ragionata, soprattutto in una città come Milano. Nella società del controllo, le carceri non servono più a incutere timore, bensì tolgono spazio alla possibilità di espandere ulteriormente la gentrificazione. 
Non ci stupisce che torni il tema dello spostamento di San Vittore fuori dalla città, giustificato da sovraffollamento al 190% e dalla fatiscenza. 
Il sindaco Sala sta riprendendo le fila di un discorso che sentiamo dal 2001, sotto Albertini. Carceri lontane dagli occhi, lontane dalla coscienza: fuori dalla città.

 

Noi non dimentichiamo! Vogliamo una città attraversabile da tutte le persone senza ghettizzazioni razziali, di classe e di genere. 
Vogliamo vivere la città e non essere costrette a cercare di sopravvivere ad essa. Vogliamo fondi per sanità e scuola pubblica
vogliamo un reddito di autodeterminazione universale di base e inclusivo. 
Vogliamo l’abolizione delle carceri con la stessa forza e rabbia con cui vogliamo scardinare le istituzioni che riproducono le gerarchie sociali e le violenze che ci opprimono ogni giorno.

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IN PIENA VISTA, FUORI CONTROLLO

Hackeriamo i nostri corpi per muoverci su strade sicure

“Sicurezza fa rima con controllo, sempre più capillare, sempre più pervasivo.
Sono lontani gli anni in cui improvvisavamo spettacoli teatrali davanti alle telecamere di sorveglianza, ora le macchine imparano a riconoscere le nostre facce e noi, sempre di più, impariamo a disciplinarci e muoverci nello spazio pubblico, semi-pubblico e privato come se non avessimo niente da nascondere.
Lavoriamo, gratuitamente, per produrre dati con cui altri si arricchiscono e per permettere alle macchine di prevenire crimini e disordini sulla base di algoritmi nutriti delle gerarchie e delle oppressioni sociali che quei crimini e quei disordini producono. In una sorta di lombrosianesimo di ritorno accettiamo di accumulare dati per confermare gli stereotipi e le disparità di potere che ne orientano la classificazione.
Le nostre facce e i nostri corpi sono il luogo di politiche di controllo, di estrazione di valore e di pratiche securitarie che riproducono oppressioni.
Ma noi donne e soggettività LGBTQIA+, così come le persone razializzate, questo lo sappiamo da sempre, perché è sui nostri corpi che il potere si è esercitato per creare la norma che ci esclude e quella che ci disciplina. E allora sovvertiamo gli strumenti della nostra oppressione per aprire spazi di libertà. I trucchi che ci avete insegnato ad usare per avere pelle di pesca, occhi grandi e labbra a cuore li riutilizziamo per sfuggire alle tecniche di riconoscimento facciale, attraverso linee e forme che ci rendono invisibili, anche se pienamente in vista. Il patriarcato ci insegna che siamo solo corpi, da scrutare, controllare, migliorare, valorizzare, e questo sapere accumulato su di noi, da noi stesse, lo rimettiamo in campo come potenza che sovverte i paradigmi securitari in nome del principio che le strade sicure le facciano le soggettività che le attraversano.
Ci viene chiesto costantemente di essere visibili, per stabilire l’ordine, noi lo saremo così tanto da spazzarlo via”

Sulla base di queste riflessioni abbiamo tenuto un laboratorio all’interno del Museo della scienza e della tecnica, aperto di venerdì sera per la Notte dei ricercatori e delle ricercatrici. Abbiamo dato vita a uno spazio variamente attraversato per riflettere insieme sulle tecnologie della sicurezza, sulla loro pervasività, ma anche sul rapporto più ampio tra noi e gli ambienti digitali. Si è trattato, quindi, per prima cosa di fermarci e porre l’attenzione sulla nostra visibilità e sulle richieste di trasparenza che costantemente subiamo.
Abbiamo lavorato per mostrare come una posizione di subalternità – come quella di avere corpi femminili nello spazio pubblico – ci permetta di essere più consapevoli di cosa voglia dire abitare uno spazio non neutro, ma denso di sguardi. E abbiamo anche provato a mostrare come si possano sovvertire alcuni elementi di oppressione: se il trucco è una competenza che ci si aspetta dalle donne, possiamo usare questo sapere per creare qualcosa di inedito.

QUANDO LA PRATICA E’ POLITICA

➤ applica un trucco che contrasta con il tono della tua pelle in toni e direzioni insoliti:
colori chiari su pelle scura, colori scuri su pelle chiara. Le direzioni insolite sono molto
importanti per spezzare effettivamente il volto.
➤ Oscura parzialmente l’area del ponte nasale: la regione in cui il naso, gli occhi e la fronte
si intersecano è una caratteristica facciale chiave.
➤ Oscura parzialmente una delle regioni oculari: la posizione degli occhi è una
caratteristica facciale chiave. Puoi coprire parte di una delle regioni con il trucco oppure
con i capelli.
➤ Gli algoritmi di riconoscimento facciale prevedono la simmetria tra i lati sinistro e destro del viso. Sviluppando un aspetto asimmetrico, soprattutto sugli zigomi, è possibile ridurre la probabilità di essere rilevati. Per esempio colorando a contrasto un lato del viso e
l’altro no.
➤ Oscurare la forma ellittica di una testa può anche migliorare la tua capacità di bloccare il
rilevamento del viso. Puoi modificare la forma della testa con acconciature o accessori.
➤ Evita di indossare maschere perché illegali in alcune città. Invece di nascondere il tuo
viso, modifica il contrasto, i gradienti tonali e la relazione spaziale delle aree scure e chiare
usando capelli, trucco e / o accessori unici. Per esempio tagliare la frangetta in modo
asimmetrico oppure far passare una ciocca di capelli davanti al viso. Ci sono anche
accessori costruiti appositamente a questo scopo, ma nulla ci vieta di crearli da sol* e
indossarli.

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“In piena vista, fuori controllo” workshop al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano

Venerdì 30 settembre 2022
ore 19.30-21.00 e 21.00-22.30

Come collettiva transfemminista queer milanese Ambrosia presentiamo un workshop interattivo che unisce teoria e pratica politica.
Si affronta il tema del controllo dei corpi nello spazio pubblico e su come sovvertirlo utilizzando gli stessi strumenti che ci opprimono.
I trucchi che ci hanno insegnato ad usare per avere pelle di pesca, occhi grandi e labbra a cuore li riutilizziamo per sfuggire alle tecniche di riconoscimento facciale, attraverso linee e forme che ci rendono invisibili, anche se pienamente in vista. Se il patriarcato lavora facendo dei nostri corpi spazi da scrutare, controllare, migliorare, valorizzare, noi li mettiamo in campo come potenza che sovverte, perché le strade sicure le fanno le soggettività che le attraversano.
Proveremo dunque a sovvertire gli strumenti stessi che riproducono le oppressioni per creare spazi di libertà.

Hackeriamo i nostri corpi per essere in piena vista, fuori controllo.

Maggiori informazioni sul workshop si trovano qui https://www.museoscienza.org/it/offerta/open-night-settembre-2022

Per approfondire sulle precedenti iniziative e trovare spunti di lettura parti da qui https://ambrosia.noblogs.org/post/2020/02/21/in-piena-vista-fuori-controllo/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ci vogliamo libere e sicure

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Siamo stanche. Nel corso del tempo abbiamo raccolto diverse e varie testimonianze di situazioni di violenza nei luoghi politici che abbiamo attraversato o attraversiamo. Testimonianze che hanno avuto esiti diversi, anche a partire dalle esigenze e le richieste dellu sopravviventi. Siamo grate a tuttu coloro che ci hanno interpellate, che ci hanno dato la loro fiducia e che hanno riconosciuto in Ambrosia uno spazio politico che potesse accogliere le loro parole e immaginare azioni comuni. Però non possiamo negare che ogni volta ascoltare voglia dire rimetterci in discussione, ritornare su ricordi e situazioni vissute, ritrovare la rabbia che continuiamo a provare. E per questo vogliamo usare tutta questa rabbia collettivamente, perché “se toccano una toccano tutte” significa anche farci carico di quanto anche noi ci sentiamo toccate.

 

Riteniamo che sia responsabilità di tuttu affrontare le situazioni di violenza che intercorrono negli spazi di movimento e coinvolgono le persone che li attraversano, con la consapevolezza che la violenza di genere pervade ogni ambito delle nostre vite e che nessunu può dirsi immune dal sessismo.
Le testimonianze da parte delle soggettività che si riconoscono donne e delle persone che subiscono violenza di genere nell’ambito degli spazi di movimento sono sempre più frequenti. Non perché siano aumentati gli abusi, no. Quelli ci sono sempre stati e li abbiamo subìti. Bensì perchè sono aumentati i racconti che lu sopravviventi decidono di condividere.  Grazie allu compagnu che si sentono nella condizione di farli emergere e chiedere aiuto nelle diverse modalità in cui si trovano più sicuru. Questa forza e questo coraggio richiedono un ascolto (perché “Sorella io ti credo” non è soltanto uno slogan) e una risposta che sempre e necessariamente parte dal sentire della persona sopravvivente.
Sappiamo che ogni storia è diversa e che non esistono schemi applicabili in ogni situazione, ma sul fronte della solidarietà attiva alle persone che subiscono violenza speriamo di aver maturato collettivamente esperienze che oltre ad essere condivise possono diventare sempre di più un terreno comune di crescita – anche e soprattutto grazie allo scambio e al supporto dei Centri Anti-Violenza femministi.

 

Però restano molte questioni aperte che le realtà di movimento faticano (nella migliore delle ipotesi) ad affrontare:
  • Come rendere uno spazio politico (fisico e non solo) sicuro per lu sopravvivente?
  • Cosa fare e cosa NON fare per supportare la persona sopravvivente ascoltando le sue richieste?
  • Come comportarsi (soggettivamente e collettivamente) con la persona maltrattante?
  • Come assumere collettivamente la responsabilità del contesto culturale e politico in cui la violenza è maturata ed è stata agìta?
  • Come costruire un percorso collettivo di riflessione e messa in discussione sul tema della violenza di genere? 
  • Tra le difficoltà maggiori che spesso incontriamo facendo questi percorsi c’è l’incapacità di riconoscere la violenza, soprattutto quando le persone e le situazioni coinvolte non corrispondono a delle persone o situazioni ideali. 
Se è inaccettabile considerare abbigliamento e comportamento come fattori di responsabilità a carico della persona che subisce violenza, altrettanto dovrebbero esserlo le sue condizioni sociali, economiche, psicologiche, di salute o personali di qualsiasi tipo.
Specularmente, dovremmo essere in grado di riconoscere come maltrattante una persona indipendentemente dalle fragilità, condizioni e dal contesto.
Pur nella legittimità di lasciare il proprio spazio di riflessione a ciascuna realtà, riteniamo che questo rischi di diventare un modo per delegare e relegare il problema ad “altru” esattamente come quando le violenze accadono in famiglia e chi sta intorno si aspetta che al suo interno si “risolvano i problemi”. 
Oppure in altre situazioni, laddove non viene espressa una volontà sostanziale di messa in discussione, la sola presa di distanza non ci sembra più sufficiente, ancora come se il problema riguardasse altru.

 

Negli anni abbiamo provato molte strade: abbiamo avviato percorsi interni agli spazi misti e di politica generalista nel tentativo di contaminare pratiche e pensiero, siamo uscite dagli spazi e dalle reti di movimento che a nostro avviso aveva evitato di affrontare episodi di violenza, abbiamo continuato con tutte le realtà sorelle a costruire percorsi di auto-formazione, dibattiti, laboratori sul tema della violenza e dei rapporti di potere tra i generi, abbiamo contribuito a costruire movimenti e reti transfemministe – e molte altre ne stiamo cercando, perché non consideriamo il nostro percorso concluso e perché solo insieme alle altre possiamo renderci davvero libere.

 

Per questo riteniamo che sia necessaria una presa di responsabilità collettiva, che ci veda insieme a riconoscere il contesto culturale e sociale che consente – nei differenti ambiti del movimento – il perpetuarsi delle dinamiche violente e che ci veda insieme ad interrogarci al fine di costruire percorsi di critica e gestione della violenza.

 

Non possiamo accettare che nelle nostre piazze, e nei nostri spazi siano tollerati comportamenti di violenza e maltrattamento, perché il senso di sicurezza passa anche da questo, che noi tuttu non possiamo sentirci a nostro agio nell’attraversarli e che troppo spesso l’unica soluzione di autotutela è allontanarsi.
Nessuna critica al sistema capitalista, al razzismo, al sistema politico nazionale ed internazionale, allo sfruttamento ambientale e animale può essere davvero discussa e praticata se non include una critica all’eterosessismo e al patriarcato (e alle dinamiche che sostiene e riproduce in ogni ambito della nostra vita).

 

La rivoluzione (o anche la sua aspirazione e costruzione) o è transfemminista o non lo è.
Per questo insieme a tutte le persone, soggettività e collettività alleate (che come noi non ne possono più) vorremmo aprire a settembre uno spazio di riflessione per costruire pratiche e strumenti di resistenza e trasformazione.

 

Nota al testo: Ci sono più strumenti e caratteri che vengono utilizzati per opporsi al maschile universale: “*”, “u”, “@”, “ə”…
Abbiamo operato una scelta utilizzando la “u” come desinenza per ragioni che vogliamo rendere trasparenti e allo stesso tempo non impositive per altri percorsi.
La “u” è uno strumento che è nato in ambito femminista e trasfemminista e in percorsi collettivi, a differenza per esempio della “ə” che rappresenta meno un processo collettivo dal basso. Inoltre l’utilizzo della “u”, è una scelta antiabilista perché permette di far processare e verbalizzare il testo in modo più agevole e comprensibile anche a strumenti automatizzati di Text To Speech.

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Chroniqueers storie di persone LGBTQ+ con malattia cronica: il 26 aprile andiamo in onda!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Torna Radio LottoTuttoLAnno per discutere con Chroniqueers di attivismo
e pratiche di resistenza all’abilismo, di malattie croniche e lotte
contro una società performativa e oppressiva, di salute e vite LGBTQ

ASCOLTA IL PODCAST!

ci trovate lunedì 26 aprile dalle 21 su
http://abbiamoundominio.org:8000/nudm-milano.mp3

(se provate ad ascoltarci prima delle 21 o in altri giorni finite in
Error 404 ma niente panico! Riprovateci al giorno e all’ora giusta!)

altre informazioni sul progetto http://chroniqueers.it/

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Narrazione tossica

Non è vero che non sanno usare le parole, hanno solo scelto da che parte stare.
“Gigante buono”, “imprenditore che non si è fermato un attimo”, “dà lezioni di sesso al figlio”, “ubriache fradicie violentate dall’amichetto”.
Sono solo alcune delle espressioni utilizzate recentemente dalla stampa italiana per comunicare notizie riguardanti casi di violenza di genere. 

Questo linguaggio tossico viene puntualmente riconosciuto e contestato da donne*, soggettività e movimenti femministi e transfemministi ogni volta che esce un articolo con questi contenuti.

La testata può scusarsi, modificare, rivendicare o meno il testo scritto. Si parla di errore, di ingenuità, di contestualizzazione. L’attitudine a questo tipo di narrazione viene sempre giustificata, in linea per altro con quello che avviene all’interno degli articoli. Vi è quindi una catena di giustificazioni e autoassolvimenti.
Negli articoli, e nei relativi titoli, stupratori e femminicidi vengono giustificati, si parla di raptus, di gelosia, si usano tutti i termini afferenti all’area semantica amorosa, quindi innamorato, respinto, lasciato.

Tutta la dinamica ricomincia da capo all’uscita di un altro articolo con questo tipo di narrazione.

Stupri, femminicidi, stalking sono compiuti da uomini che agiscono volontariamente violenza sulle donne* con l’intento di esercitare sui nostri corpi potere, dominio e possesso. Allo stesso modo, scrivere articoli che giustificano questi atti, è sempre violenza, non si tratta di errori involontari o disattenzioni ma di una volontaria legittimazione della violenza di genere. Al contempo e sempre con lo stesso pattern viene colpevolizzata la donna* che subisce la violenza. 

Non ci interessano le scuse, non ci sono giustificazioni, non sono errori involontari o sviste. 
Non è vero che ancora non hanno capito come parlare e scrivere della violenza di genere. 

Tutt* quest* giornalist* hanno scelto di difendere chi prevarica, stupra e uccide, attivamente e volontariamente hanno deciso da che parte stare.

A partire da queste riflessioni, tra le altre cose, abbiamo scelto di iniziare un attacchinaggio, ma ci sono mille altre pratiche che vengono costruite tutti i giorni e che possiamo continuare a costruire tutt* insieme per ribadire di nuovo che manco le regole base hanno imparato!

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