Archivio per la categoria Generale
NÉ NORMALI NÉ SFRUTTATE! Appello per una mobilitazione frocia, femminista e queer contro Expo 2015
Expo2015 non significa solamente cementificazione, mafia e investimenti di ingenti capitali (pubblici) a fini di guadagni (privati). Expo 2015 è l’alibi per giustificare e mettere in campo, da una parte, modelli di ridefinizione del mondo del lavoro, e dall’altra, modelli di controllo e normalizzazione della popolazione. Governo, comune, regione e società private, inclusi i grandi sponsor nazionali ed esteri, sono consapevoli che i propri guadagni si consolideranno dal giorno dopo la chiusura dell’Esposizione Universale a Milano, quando ognuno di essi metterà a bilancio i vantaggi sia politici che economici che Expo avrà loro consegnato.
All’interno del meccanismo di raccolta di consenso che Expo tenta di imbastire attorno a sé, con propaganda e promesse subdolamente efficaci, come collettivi di genere ci interessa soffermarci e capire il significato che assumono la campagna WomenForExpo e la costruzione della GayStreet milanese.
WomenForExpo
Questo progetto coinvolge Comune, Provinica, Regione, Expo SpA, Ministero dell’Economia e delle Finanze e grandi sponsor privati, oltre ad associazioni e realtà femminili e di donne, per lo più legate a quel femminismo della differenza tanto potente in Italia.
WfE è la “quota rosa” di Expo, si avvale di una potente struttura burocratica ed economica, e propone l’immagine di una donna che trova in Expo il proprio posto in quanto imprenditrice, cittadina europea e del mondo,e soprattutto madre, quindi “naturalmente” votata al prendersi cura, al cullare e al “nutrire il pianeta”. E’ un progetto che normalizza la condizione di oppressione delle donne, svelandola e infiocchettandola come fosse qualcosa da accettare e addirittura esaltare.
Da un lato si promuove la donna imprenditrice e di potere, sfruttatrice di altre donne e di altri uomini, e dall’altro si accentua l’oppressione di tutte le altre donne, giustificandola con la “vocazione” alla maternità e alla cura, per impedire qualsiasi rivendicazione di libertà e parità, del resto impossibile in una società che divide per sfruttare meglio. Miliardi di donne che lavorano ogni giorno nei settori dell’alimentazione e della cura non troveranno in Expo nessuno spazio, anzi: si confermerà, tramite lo schiavismo mascherato del “volunteering” e del lavoro precario, la condizione di sfruttamento doppio a cui oggi le donna sono sottoposte.
GayStreet in via Sammartini
Il Comune di Milano ha deciso di ripulire via Sammartini (adiacente alla Stazione Centrale) dalla microcriminalità mettendo in atto politiche securitarie e di controllo, per poi colorarle di rainbow. Telecamere, chiusura del traffico e presenza permanente di polizia locale vorrebbero permettere al turismo (u)omosessuale di Expo di trovare in quella via una risposta commerciale. L’intento – dichiarato – è di puntare a incrementare le cifre del turismo omosessuale e del mercato “pink”. Viene proposto l’unico modello di omosessuale gradito ed integrabile, normalizzato, maschile e di classe media, escludendo completamente i soggetti lgbit*q che non rientrano negli stereotipi accettati socialmente o che non risultano essere utili alle logiche di mercato.
La decisione della costruzione della GayStreet, calata dall’alto e rivolta al turismo e non alle cittadine e ai cittadini milanesi, ci toglie ogni possibilità di autodeterminazione sulla città che viviamo e nella quale subiamo ancora quotidianamente l’esclusione, la discriminazione, l’omofobia.
Sebbene i due progetti abbiano consistenze diverse, sono entrambi accomunati dall’utilizzare le nostre identità e i nostri corpi in nome del profitto, e propongono la sussunzione delle nostre rivendicazioni e delle nostre lotte all’interno di un processo sociale e politica, sempre più escludente, maschile e razzista. La quota rosa di Expo e la GayStreet risultano essere dispositivi di normalizzazione e di reclusione all’interno di spazi fisici e politici, che, vantandosi di essere progetti progressisti, tentano di nascondere lo stato dell’arte dei percorsi di smantellamento dei diritti nel mondo del lavoro, della scuola, della sanità e del welfare, e l’assenza di ogni tipo di diritto per i soggetti lgbit*. Rifiutiamo i modelli di donna e di omosessuale che ci propongono e ci impongono, e distruggiamo i discorsi che la società “per bene” fa in nome nostro e dei nostri desideri.
Invitiamo per questo tutte le singole, le realtà e le collettive femministe, froce, queer, trans, intersex ad un’assemblea nazionale a Milano il 14 Dicembre, per discutere e analizzare collettivamente la consistenza di questi due progetti, e per costruire insieme una mobilitazione nazionale femminista e queer contro Expo e le sue omo/femo-normalizzazioni.
Ci vogliono normali ci avranno ribelli!
Ci danno una strada, ci riprendiamo la città!
Milano, 14 Dicembre, ore 10:00 a RiMake, ex BNL, spazio recuperato in via Astesani 47 (MM3 Affori FN)
Collettivo femminista e lgbit* Le Lucciole, Ambrosia, Collettivo femminista Shora, Donne nella crisi
Per adesioni, informazioni e ospitalità: lucciole@autistiche.org ambrosia.milano@gmail.com
Denunce a Perugia per la manifestazione contro le “Sentinelle in Piedi”
Contro le sentinelle siamo tutt* indecoros* e liber*! Erano sces* in Piazza il 29 marzo a Perugia in maniera spontanea, festosa e rumorosa contro la violenza del silenzio imposto dalle “sentinelle”. A distanza di sei mesi sono stat* denunciat* alcun* attivist* dell’Omphalos Arcigay Arcilesbica Perugia e alcun* militant* del Collettivo Bella Queer Perugia che quel giorno di marzo si trovavano in piazza insieme a tante soggettività del mondo LGBT, femminista e queer della città.
Segnaliamo un articolo dal Blog del Collettivo Femminista Sommosse di Perugia che restituisce quanto sta accadendo.
Le piazze delle nostre citta’ devono essere libere e abitate da soggettivita’ critiche : contro le sentinelle siamo tutte froce!
Molto più di 194 – perchè saremo in piazza
Ferri da calza, prezzemolo, Cytotec, botte, bagni caldi con senape in polvere, massaggi all’addome, segale cornuta … che cos’hanno in comune fra loro? Sono tutti strumenti utilizzati dalle donne nella storia per provocare aborti clandestinamente. Credere che oggi in Italia la realtà degli aborti clandestini sia scomparsa grazie alla legge 194 che regola le interruzioni volontarie di gravidanza è un errore.
Gli aborti clandestini sono ancora una realtà quantificata in 20mila casi l’anno; a questi bisogna aggiungere un altissimo (e crescente) numero di aborti spontanei, molti dei quali, probabilmente, causati dall’utilizzo di farmaci come il Cytotec, un anti-ulcera che ha effetti collaterali dovuti al sovradosaggio che possono provocare un aborto.
Vale la pena farsi una domanda: perché in un paese come l’Italia in cui l’aborto è una scelta consentita e legale, c’è ancora un così alto numero di aborti clandestini? Molte possono essere le risposte, alcune delle quali indubbiamente legate alla cultura e al credo religioso delle donne e quindi legate ad una morale che ancora colpevolizza le donne che compiono la scelta legittima di non avere un figlio, “assassine” secondo molti integralisti; altre risposte invece sono legate proprio alla famosa legge 194, che difendiamo solo perché è l’unica possibilità reale oggi per poter accedere all’interruzione di gravidanza sotto controllo medico, ma che certo è ben lontana dall’essere uno strumento giuridico di garanzia di un diritto.
La storia della legge 194 è una storia di lotte politiche, di donne che si sono battute per ottenere un diritto, per combattere la piaga degli aborti clandestini, è la storia dei primi consultori, è una storia che è passata dalla Corte Costituzionale per approdare ad un referendum che la ha resa una realtà. La storia della 194 è la storia di una vittoria. Nel 1978. Ma quello che è successo in questi 36 anni, purtroppo, è una storia di colonizzazione degli spiragli di ambiguità contenuti in quella legge, che avrebbe dovuto essere aggiornata, modificata, in relazione all’avanzamento delle tecnologie, alla laicizzazione (?) dello Stato, alla nuova realtà che ci si presenta oggi.
La legge 194 inizia così: Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
Se già il prologo fa sorgere dei dubbi sul senso di questa legge (una legge sull’aborto che nell’introduzione specifica e sottolinea che lo Stato tutela la vita umana dal suo inizio? E quando sarebbe questo inizio?), poi le cose peggiorano. Subito nel secondo articolo, in cui si parla di consultori, troviamo che i medici di questi servizi sono tenuti a contribuire a far superare le cause che possono portare all’interruzione della gravidanza. E qui nasce la prima area grigia che ha permesso ai centri di aiuto alla vita, ai militanti pro-life di ogni tipo, agli anti-abortisti della prima e dell’ultima ora, di “occupare” fisicamente gli spazi della scelta delle donne, spazi nei quali dovrebbero essere supportate e non giudicate, e nei quali invece si trovano a dover fornire spiegazioni, a veder messa in discussione la loro decisione, ad essere additate come esseri umani di secondo livello, indegne.
Anche quando le donne superano la barriera degli antiabortisti la strada non è finita: bisogna sottoporsi ad un colloquio psicologico per indagare le motivazioni della scelta, perché la legge dice che il ricorso alla IVG è permesso alla donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica. Il colloquio è spesso umiliante, spesso doloroso, comunque va a ledere il diritto a decidere di sé, del proprio corpo e della propria vita.
E poi, last but not least, ecco la punta di diamante della legge 194: i ginecologi hanno diritto ad esercitare l’obiezione di coscienza. Possono cioè, per ragioni legate alla propria coscienza, rifiutarsi di praticare le interruzioni di gravidanza. Questa legge ha prodotto quasi il 70% dei ginecologi obiettori in Lombardia. Questa legge e il dominio di Comunione e Liberazione nelle strutture sanitarie lombarde, che controlla la carriera dei medici: oggi un ginecologo che vuole fare carriera deve fare obiezione di coscienza, altrimenti passerà le sue giornate a fare interruzioni di gravidanza e non avrà mai successo. Oggi per acceder all’IVG le donne dormono nelle sale d’aspetto la notte prima della data in cui è presente un medico non obiettore. Oggi chi può va ad abortire all’estero, chi non può ricorre al Cytotec, o peggio.
Questa è la verità della legge 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza.
A tutto questo va aggiunto un progressivo smantellamento dello stato sociale, dai tagli sempre più ingenti alla sanità pubblica a quelli all’istruzione, che non fa altro che rafforzare il peso della famiglia, che quasi sempre ricade sulle donne, costrette a farsi carico delle mancanze di uno Stato che crea sempre più disuguaglianze. E nel frattempo la ministra Lorenzin propone un piano fertilità per invitarci ad essere più fertili, più madri (come se essere genitori riguardasse solo le donne) senza offrire nessun tipo di supporto.
Per tutti questi motivi noi NON stiamo difendendo la legge, stiamo rivendicando l’autodeterminazione dei corpi, delle vite, delle scelte. Stiamo chiedendo che l’aborto sia libero, legale e gratuito per tutte, senza distinzioni, senza giudizio.
Crediamo che l’attacco alla legge posto dal Comitato No194, che sfilerà in corteo sabato 12 aprile a Milano, sia assolutamente pretestuoso. Il Comitato è lo stesso che si fa promotore dei presidi di preghiera che si svolgono periodicamente fuori dagli ospedali nei quali, nonostante le difficoltà evidenti, è ancora possibile accedere all’IVG. Questi presidi sono composti da partecipanti che si dividono in cattolici moralisti “pro life” e cattolici moralisti di appartenenza politica all’estrema destra, Forza Nuova e simili. Questi sono i personaggi che propagandano le idee antiabortiste e riempiono le sale d’attesa dei consultori e dei reparti di ginecologia, finalmente il legame fra la chiesa e l’estrema destra risulta evidente, e anche questo dovrebbe far riflettere.
Altre sono le strade da percorrere.
Desideriamo un welfare accessibile a tutti, che permetta alle donne di scegliere se avere o no un figlio, ma che garantisca anche l’accesso agli anticoncezionali e l’educazione sessuale come strumento di prevenzione.
Vogliamo poter esprimere una, o mille, sessualità libera, rivendicare il diritto al piacere, senza rischi e senza giudizi, vogliamo la possibilità di sperimentare tutte le identità che sogniamo, vogliamo poterci trasformare, provare ruoli e relazioni fuori dall’eteronormatività, costruire famiglie a nostra misura, vogliamo conoscere i nostri corpi e parlarne senza tabù.
Per tutti questi motivi il 12 aprile anche noi saremo per le strade di Milano, ci saremo con i nostri metodi e con le nostre parole, con i nostri corpi e con i nostri desideri, ai quali non rinunciamo nonostante gli attacchi della chiesa e la mancanza di coraggio e di rispetto di chi ci governa.
Ci troverete alle Colonne di san Lorenzo, dalle 15,00 per un pomeriggio all’insegna del teatro, della cultura, dei sorrisi e della libertà.
Atlantide r-esiste!
Atlantide è stata ed è, per tante di noi, la terra mitica che il suo nome evoca: un luogo di autogestione femminista, lesbica, gay, queer e punk. Uno spazio davvero liberato in cui poter sperimentare i propri desideri e immaginare nuove relazioni, dove i corpi si liberano all’unisono con le menti. Uno spazio più unico che raro che ha dato vita a percorsi, progetti e sogni e che continua a costruire immaginari.
Ora il Comune di Bologna ha fissato una data in cui chi anima e rende possibile Atlantide dovrà lasciare lo spazio di Porta Santo Stefano: 15 anni di storia minacciati da uno sgombero annunciato per il 15 aprile. Il Comune afferma di voler restituire quello spazio alla cittadinanza, senza vedere che Atlantide è già uno spazio di tutt*, attraversato da migliaia di persone e accogliente come pochi. L’amministrazione comunale gioca sulla pelle delle persone misconoscendo la storia di Atlantide: si serve dell’articolo del codice che consente la riappropriazione dei beni confiscati alla mafia utilizzando la retorica della legalità più cieca, che vuole restituire alla collettività uno spazio che collettivo lo è già. Proprio per questo sappiamo che uno sgombero, per quanto doloroso, non potrà cancellare la ricchezza e la diversità di Atlantide, che ha già sparso i suoi semi in moltissimi spazi in tutta Italia, ma non per questo quei muri così carichi di storia e di emozione saranno abbandonati senza lottare.
Atlantide ha scelto di resistere sciogliendo le associazioni che la costituivano per rivendicare fino in fondo la pratica dell’autogestione. In questi tempi bui di attacchi all’autodeterminazione di donne, trans, gay e lesbiche non possiamo che essergliene grate e schierarci al loro fianco, per una resistenza favolosa e scintillante come le Atlantidee.
Ambrosia
Ps: se non l’avete ancora fatto firmate la petizione: http://www.autistici.org/atlantideresiste/
Una lettera al Sindaco
La riflessione sulla pubblicità sessista e sulle regole proposte dal Comune di Milano ha prodotto una lettera al Sindaco Pisapia. La Giunta della nostra città ha sempre guardato alla partecipazione come ad un valore: vi chiediamo di mettere in pratica i vostri principi cancellando un punto di una delibera in cui si vuole sconfiggere il sessismo parlando di normalità (cosa che sappiamo essere un ossimoro).
qui trovate l’elenco delle firme e se volete firmare anche voi scriveteci ad ambrosia.milano@gmail.com
Ci rivolgiamo al Sindaco Giuliano Pisapia, alla Giunta, a Francesca Zajczyk Delegata del Sindaco alle Pari Opportunità e Anita Sonego presidente della omonima Commissione. Durante i lavori del convegno “Quando comunicazione fa rima con discriminazione” che si è tenuto lo scorso 17 settembre a Palazzo Marino abbiamo appreso che nella delibera “Indirizzi fondamentali in materia di pubblicità discriminatoria e lesiva della dignità della donna” tra i punti destinati a individuare i messaggi discriminatori da contrastare, compare, al n. 2, quanto segue: Immagini volgari, indecenti, ripugnanti devianti da quello che la comunità percepisce come “normale”, tali da ledere la sensibilità del pubblico, punto che Vi chiediamo formalmente di stralciare da quella delibera (la n. 1288 del 28/06/2013).
Infatti, intorno al senso e al significato di questo punto, in evidente contraddizione con gli altri quattro, si é sviluppata una discussione pubblica che ha coinvolto gruppi di donne, associazioni, collettivi femministi, singole e singoli. Parte del dibattito é stato pubblicato su Ambrosia, Politica Femminile, ArcipelagoMilano e infine su Un altro genere di comunicazione.
Ci preoccupa dover stabilire cosa è normale e cosa non lo è e le ragioni per cui una parola tanto discriminatoria viene utilizzata all’interno di un documento che vorrebbe rappresentare un esempio di lotta alle discriminazioni. Gli intenti di lotta alla pubblicità sessista di questa delibera sono importanti, ma altrettanto lo sono le parole, il linguaggio, la comunicazione. Com’è possibile che in un testo volto a mettere in discussione il sessismo dei cliché comunicativi pubblicitari sia comparsa una così grave incoerenza?
In Italia, come ci hanno dimostrato recentemente i casi “Barilla” e “Boldrini”, la normalità è ancora rappresentata da un modello familiare eteronormativo, dove alla donna è riservato il compito di gestire la casa e servire la famiglia. Non vorremmo arrivare a pensare che il punto n. 2 risulti un escamotage per non intaccare i modelli culturali e le credenze di una supposta comunità di riferimento e la sua “sensibilità”. Sono queste le ragioni che motivano la nostra richiesta di stralcio del punto n. 2 della delibera.
Ringraziando la Giunta per la sensibilità sempre dichiarata nei confronti delle istanze e dei diritti delle donne, e proprio alla luce di un impegno che conferisce alla nostra città anche un ruolo di esempio verso le altre amministrazioni, confidiamo che la nostra richiesta verrà accolta.
Prime Firmatarie
Lara Adorni, Annapaola Ammirati, Carla Antonini, Fabrizia Boiardi, Mariangela Bonas, Marina Borgatti, Antonella Coccia, Chiara Collini, Carla Comacchio, Carlotta Cossutta, Evelina Crespi, Nadia Dowlat, Maria Grazia Ghezzi, Lucia Leonardi, Mariagrazia Longoni, Marta Lovison, Arianna Mainardi, Fabiana Manigrasso, Donatella Martini, Alice Monguzzi, Adriana Nannicini, Antonella Pastore, Alessia Ricci, Chiara Rossini, Martina Tisato
Firme collettive
ABA Associazione Bulimia Anoressia, Ambrosia, Arcilesbica Zami Milano, AxV Arte per Vivere Onlus, Associazione DonneinQuota, Donne e Basta, Donne e Informazione, Donne per Milano, Donne Ultraviolette, Hollaback Ita, Iter del cognome materno in Italia, MACAO, Noi donne 2005, Le nostre figlie non sono in vendita, SNOQ Ancona 13 febbraio, SNOQ Cesano Maderno, SNOQ Firenze, SNOQ Lodi, SNOQ Lombardia, SNOQ Mantova, SNOQ Pioltello, SNOQ Udine, Toponomastica Femminile, Un Altro Genere di Comunicazione
Appunti intersex
(pubblichiamo in contemporanea su Milano in Movimento)
Dal 19 al 22 settembre a Milano si è svolto il IX convegno mondiale di endocrinologia pediatrica. Contemporaneamente si sono tenute le prime manifestazioni intersessuali in Italia, per denunciare le mutilazioni sui neonati intersex che questi medici ancora consigliano.
Il 18 settembre a Zam si è tenuta una serata informativa con Daniela e Markus di Zwischengeschlecht.org, un’associazione svizzera che da sei anni si occupa di intersessualità chiedendo con forza la fine delle mutilazioni genitali. È stata una serata densa di informazioni e di dibattito di cui è difficile rendere conto, ma ci proviamo perché crediamo che siano emersi molti spunti di riflessione.
Abbiamo appreso che uno o due bambini su 1000 nascono con genitali “atipici” o “ambigui”, ovvero intersex, ermafroditi, disordine dello sviluppo sessuale (DSD). Il 90% di questi bambini viene sottoposto a operazioni chirurgiche cosmetiche ai genitali medicalmente non necessarie e irreversibili e ad altri interventi invasivi. I sopravvissuti le considerano una grave violazione dei diritti umani e una mutilazione genitale occidentale – un punto di vista avvalorato da esperti internazionali, diversi gruppi ONU e comitati nazionali di Bioetica.
Dagli anni ’50 le “correzioni genitali” non necessarie sui bambini intersex sono praticate sistematicamente. In tutti questi anni i medici non sono mai stati in grado di produrre delle prove dei supposti benefici per i bambini. Ancora oggi i medici non fanno nessun follow-up, ma insistono con queste operazioni sulla base di prove esclusivamente aneddotiche. Non esistono statistiche precise e non esistono studi sugli effetti delle operazioni. Chi le ha subite denuncia la perdita delle sensazioni sessuali, la sterilizzazione forzata e i danni psicologici che derivano da una vita dentro e fuori dagli ospedali, continuamente sottoposti a controlli e continue operazioni per adeguare i genitali ad una presunta normalità e correggere gli errori di operazioni non volute.
Le motivazioni che i medici continuano a dare per giustificare queste operazioni sono di tipo psicologico: il bambin* verrà pres* in giro, la sua identità non sarà definita, avrà dei problemi dello sviluppo. E i genitori si trovano senza informazioni (perché dell’intersessualità non si parla), sottoposti ad una retorica che parla del “bene del neonato”, retorica alla quale è molto difficile sottrarsi. Autorizzano, quindi, le operazioni, ma si tratta veramente di “consenso informato”? Anche per questo servono associazioni che aiutino i genitori e che sensibilizzino l’opinione pubblica, anche per contrastare i continui casi di disinformazione – basti pensare agli articoli estivi sul direttore del San Camillo di Roma che “si vanta” del fatto che nel suo ospedale le operazioni sui neonati intersex siano cresciute del 50%. E servono leggi che tengano conto della presenza di bambini intersessuali: a questo proposito è stata citata la legge Svizzera, che assegna un sesso alla nascita, ma poi rende molto più semplici e accessibili le procedure per poterlo cambiare.
Quello che gli intersex rivendicano, infatti, è l’autodeterminazione sui loro corpi, la possibilità di scegliere se e quando operarsi e come, informati dei rischi e delle difficoltà e potendo fare una scelta consapevole. Combattono un processo di normalizzazione che si realizza in una vera e propria tortura, che adegua dei corpi a degli standard che producono sofferenze continue.
Il movimento intersessuale è un movimento giovane (in Italia praticamente inesistente) con delle rivendicazioni urgenti. Una delle paure forti di questo movimento è quella di scomparire e di non riuscire a far comprendere le proprie specificità. A Zam si è parlato molto di solidarietà GLBTQ e di colonialismo, due atteggiamenti che spesso si intrecciano. Gli intersex, infatti, denunciano come il movimento queer abbia usato e usi l’intersessualità come un caso emblematico per parlare delle contraddizioni del binarismo sessuale, spesso senza vedere e tematizzare le sofferenze concrete delle persone sottoposte agli interventi chirurgici. Il rischio che corriamo è quello di annettere l’intersessualità alle nostre lotte, piegandola alle nostre teorie e filtrando le parole di questi soggetti attraverso dei teoremi, armate delle migliori intenzioni, ma finendo per trasformare la nostra solidarietà in un colonialismo che allontana gli intersex dal loro scopo: fermare le mutilazioni genitali (ora, non quando avremo abolito i generi e il binarsimo!).
Quello che ci è sembrato dirompente della serata a Zam è stato l’emergere di una nuova soggettività, il prendere parola di chi spesso è rimasto in silenzio per i troppi traumi subiti e per la paura dell’emarginazione. Questa soggettività, con la quale veramente vogliamo essere solidali, ci costringe a mettere in discussione le nostre teorie e le nostre certezze, aprendo degli spazi di libertà e di ascolto. E questo è già un assaggio del mondo che vogliamo: un mondo aperto alle diversità, capace di accoglierle e di farsi modificare, senza ricondurre le vite, i corpi e le emozioni entro schemi prestabiliti.
Per approfondire:
http://stop.genitalmutilation.org/
http://www.intersexioni.it/category/intersex-2/
Stop agli interventi di chirurgia cosmetica genitale su neonati e bambini!
Adesione alle manifestazioni pacifiche che si svolgeranno dal 19 al 22 Settembre a Milano
contro la chirurgia estetica genitale sui neonati e bambini intersex/dsd.
Dal 19 al 22 settembre a Milano si svolgerà il IX Convegno di endocrinologia pediatrica durante il quale verranno trattate anche questioni relative ai neonati, bambine/i e adolescenti intersex o con “differenze nello sviluppo sessuale”. Come denuncia l’associazione Zwischengeschlecht per i diritti umani delle persone intersex, si tratta di un convegno in cui continuano a venire proposte come valide le operazioni di chirurgia estetica sui genitali degli infanti e dei bambini nati con forme di intersessualità.
E questo nonostante che tali operazioni siano ormai da decenni contestate da chi le ha subite, da una parte sempre più grande della classe medica e intellettuale a livello internazionale e, proprio quest’anno, anche dal Consiglio per gli Affari Esteri dell’Unione Europea e dal Rapporto delle Nazioni Unite sulla Tortura in cui, tra l’altro, agli Stati membri viene raccomandato dievitare interventi chirurgici e terapie farmacologiche non necessarie per la salute del bambino, usate invece per “normalizzare” le caratteristiche sessuali primarie e secondarie, con effetti irreversibili e traumatici.
Per la prima volta in Italia si terranno manifestazioni pubbliche di protesta contro queste pratiche di chirurgia estetica genitale non consensuale e contro un convegno che non vede tra i partecipanti né le persone intersex/dsd direttamente interessat* né voci mediche contrarie a tali pratiche.
Come firmatari di questo comunicato, riteniamo urgente che si apra una seria e approfondita riflessione scientifica e pubblica sulle pratiche di medicalizzazione e gestione delle diverse forme intersex/dsd a fronte di una scarsissima informazione sull’argomento in Italia e dell’applicazione, in troppi ospedali, di protocolli che prevedono l’assegnazione chirurgica di sesso precoce secondo teorie che hanno origine nel secolo scorso e di cui è stata ormai ampiamente dimostrata la mancanza di validità e la fallacia medico-scientifica.
Perciò facciamo nostre le proteste pacifiche che si terranno a Milano per tutta la durata del convegno e parteciperemo alla serata informativa di mercoledì 18 settembre, invitando associazioni, gruppi e singoli ad aderire e a partecipare numeros*.
ambrosia; collettivo intersexioni, Centro di Ricerca Politesse, laboratorio smaschieramenti, associazione radicale Certi Diritti.
Per adesioni scrivere a info@intersexioni.it
Programma delle manifestazioni
Mercoledì 18 alle 19.00 si terrà una serata informativa allo Zam (via Santacroce, 19, Milano).
Queste le date e i luoghi in cui si terranno le proteste pacifiche dal 19 al 22 Settembre
Giovedì 19.09.2013
#1: 08:30-13:00 Milano Congressi, Gate 2
#2: 15:00-18:00 Università (La Statale), Sede centrale
Venerdì 20.09.2013
#3: 07:00-09:00 Milano Congressi, Gate 2
#4: 11:00-13:00 Università Vita e Salute San Raffaele
#5: 15:00-18:00 Politecnico
Sabato 21.09.2013
#6: 07:00-09:00 Milano Congressi, Gate 17
#7: 11:00-15:00 Ospedale San Raffaele
Domenica 22.09.2013
#8: 07:00-13:30 Milano Congressi, Gate 2
La normalità e le regole sulle pubblicità sessiste
Per contrastare la diffusione di stereotipi sessisti e discriminatori la Giunta del Comune di Milano ha approvato delle regole per valutare le pubblicità da affiggere negli spazi comunali (qui trovate l’annuncio). Il Comune identifica 5 tipologie di messaggi incompatibili con l’immagine che intende promuovere: 1) le immagini che rappresentano o incitano atti di violenza fisica o morale; 2) le immagini volgari, indecenti, ripugnanti, devianti da quello che la comunità percepisce come “normale”, tali da ledere la sensibilità del pubblico; 3) i messaggi discriminatori e/o degradanti che, anche attraverso l’uso di stereotipi, tendono a collocare le donne in ruoli sociali di subalternità e disparità; 4) la mercificazione del corpo, attraverso rappresentazioni o riproduzioni della donna quale oggetto di possesso o sopraffazione sessuale; 5) i pregiudizi culturali e gli stereotipi sociali fondati su discriminazione di genere, appartenenza etnica, orientamento sessuale, abilità fisica e psichica, credo religioso. Queste regole sono state pensate non come una censura, ma come tutela e potrebbero essere uno spunto di riflessione per i pigri pubblicitari che si limitano a piazzare due belle tette di fianco a qualsiasi cosa.
Riflettere sulla pubblicità e sui suoi messaggi è importante, anche perché troppe volte ci siamo trovate a camminare in una città tappezzata di poliziotti che molestano belle ragazze, scene di stupri patinati e donne in cucina ad aspettare mariti distratti, e siamo contente che il Comune abbia iniziato a pensarci e a immaginare strumenti per intervenire.
Però (già, c’è un però) ci colpisce particolarmente il secondo messaggio: “le immagini volgari, indecenti, ripugnanti, devianti da quello che la comunità percepisce come “normale”, tali da ledere la sensibilità del pubblico”. Non possiamo fare a meno di chiederci che cosa sia questa normalità percepita dalla comunità (quale comunità?) e quale sia il pubblico che può sentirsi offeso. Ci stupisce che per tutelare le donne, o chiunque venga discriminato, si faccia ricorso alla normalità, concetto tra i più opprimenti e discriminanti, e ci spaventa pensare che sia una generica comunità a poter decretare cosa sia normale e cosa no. E se il pubblico trovasse ripugnante vedere due donne che si baciano? E se la comunità ritenesse indecente una donna grassa in bikini? E se trovasse volgari due uomini che si tengono per mano (questo è accaduto a Catania proprio per una pubblicità)? E se non considerasse normale un uomo che cambia un pannolino?
Quasi sempre tutelare dalle discriminazioni significa proprio contrastare quello che la comunità ritiene normale e accettabile, vuol dire andare contro la morale corrente per proporre immaginari nuovi e più inclusivi e avere il coraggio di sfidare la sensibilità del pubblico. Questo coraggio ce lo saremmo aspettate dal Comune e ce lo aspettiamo ancora: perché non eliminare quel secondo punto?