Non una di meno – Assemblea cittadina

10 gennaio h 19.30 – Casa delle Donne

VERSO L’8 MARZO – SCIOPERO DELLE DONNE
– Il 26 novembre scorso 200 mila persone hanno manifestato a Roma contro la violenza sulle donne.
– Il giorno successivo 1500 persone riunite in tavoli di lavoro hanno lanciato per il prossimo #8marzo l’adesione dall’Italia allo Sciopero Internazionale delle Donne.
– A partire dal 13 dicembre in diverse città di tutto il paese si sono riunite assemblee cittadine locali, per fare di questo 8 marzo una data storica, che segni un punto di non ritorno nella lotta contro tutte le forme di violenza sulle donne.

“SE LE NOSTRE VITE NON VALGONO, ALLORA NOI NON PRODUCIAMO”
E’ a partire da questo motto, lanciato dalle donne argentine, che ha preso piede l’idea di uno sciopero internazionale dell’8 marzo, ma sappiamo bene che c’è tanto ancora da inventare e realizzare, affinchè questa forma di protesta possa dare vita davvero a una lotta globale.

Come vogliamo costruire allora questo 8 marzo a Milano?
Quali sono tutte le forme di sciopero che sappiamo inventare e immaginare?
Cosa vogliamo fare da qui a quella data perchè questa chiamata si diffonda il più possibile ?
Come ci immaginiamo questa giornata?
Cosa andremo avanti a fare insieme a partire dal giorno successivo?

Il 10 gennaio l’assemblea cittadina di NON UNA DI MENO – MILANO si riunisce per mettere insieme tutte le possibili idee, proposte e risposte a queste domande.

Ore 19.30, Casa Delle Donne di Milano,
via Marsala 10, MM2 Moscova

https://www.facebook.com/events/1814443135470803/

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Nos Mueve El Deseo: voci verso lo sciopero dell’8 marzo

Mercoledì 14 dicembre a Piano Terra abbiamo ascoltato alcune voci dall’Argentina, dal Messico e dalla Turchia per farci raccontare i percorsi femministi, le mobilitazioni di novembre e le idee verso lo sciopero dell’8 marzo.

Grazie a router possiamo ascoltare la registrazione della serata, andata in onda il 22 dicembre su shareradio.it

http://router-radio.org Prosegui la lettura »

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Altri generi di movimento

erotismo-eroismoL’appello di Romantik Punx  e Guerriere Sailors ha scoperchiato il vaso di Pandora sui fatti di Parma.

Crediamo che le parole delle compagne di Claudia sull’orrore dello stupro, sulla vergogna del silenzio, delle pressioni, delle illazioni, sulla complicità di cui non avremmo mai voluto sentir parlare, siano quelle da cui partire. Per questo invitiamo tutte e tutti a leggerle e a diffonderle:

Sui fatti di Parma. Come riparare 4 crepe

Vogliamo, però, allargare lo sguardo a partire dal fatto che da anni ci interroghiamo sui micro e i macro machismi nei movimenti, convinte di non essere immuni alla pervasività di un sistema patriarcale che incessantemente spinge, anche tra di “noi”, processi più o meno espliciti che riproducono un immaginario fatto di prevaricazioni. Proprio per questo pensiamo che prendere le distanze, anche marcatamente, da quanto accaduto, non sia sufficiente, ma che sia necessario ripartire da sé, dalle pratiche che anche inconsapevolmente – ma quotidianamente – agiamo, e che sono l’humus di cui i fatti di Parma si sono nutriti. Pratiche che hanno permesso che anche tra di noi, o comunque anche tra qualcuna e qualcuno che (sedicentemente) si definisce “noi”, quell’orrore fosse possibile.

Ogni volta che abbiamo costruito pratiche assembleari orientate alla santificazione del maschio alfa

Ogni volta che abbiamo riso di quella troia che fa i pompini a tutti o dato del ricchione a qualcun*

Ogni volta che abbiamo confuso radicalità e machismo

Ogni volta che abbiamo definito un Pride una carnevalata

Ogni volta che abbiamo parlato dei femminismi come di lotte marginali

Ogni volta che non siamo stat* capaci di rendere accoglienti e sicuri per tutt* gli spazi politici che attraversiamo

Ogni volta che non siamo stat* capaci di garantire la sicurezza nei nostri spazi fisici senza tracimare in violenza becera e aggressioni ingiustificabili

Ogni volta che leggiamo/sentiamo/vediamo qualcosa e ci diciamo che non ci riguarda, non c’entra con noi, perché noi siamo divers*

Ogni volta che parliamo di rivoluzione, ma mai di quella dentro di noi

Ogni volta che abbiamo riprodotto, fosse anche per scherzo, un immaginario maschilista e nettamente patriarcale invece che combatterlo, invece che essere capaci di generare un immaginario nuovo, libero, femminista.

Per anni abbiamo pietito attenzione e legittimità all’interno del movimento, nel tentativo di contaminarlo e ottenere dignità e partecipazione sulle questioni dei generi. Pensavamo fossero tematiche scontate, assolutamente intrinseche all’essere antifascisti, al concetto di autorganizzazione, alla parte di società di cui da sempre facciamo parte. Abbiamo animato percorsi di riflessione e campagne comunicative andando oltre il dna originario ma ancora fatichiamo a trovare identità, appartenenze e condivisione, almeno su queste tematiche. Certo, alcuni semi sono stati lanciati e siamo sicure daranno buoni frutti, ma non sono ancora diventati patrimonio collettivo.

Oggi più che mai siamo invece certe che sia non solo necessario, ma soprattutto possibile, partire dalle questioni di genere per fare movimento. Lo abbiamo fatto costruendo il NoExpo pride, lo abbiamo fatto grazie e con il Sommovimento NazioAnale, lo abbiamo fatto con Non una di meno il 26N, continuiamo a farlo verso lo sciopero dell’8 marzo, continuiamo a farlo ogni giorno nel nostro agire politico quotidiano.

Riteniamo necessario costruire reti e ambiti capaci di essere radicali dentro e fuori di sé, di mettere in discussione la società e allo stesso tempo le proprie pratiche politiche, costantemente. Questi sforzi ci mostrano come sia difficile liberarci dalle strutture patriarcali ed eterosessiste, ma anche quanta bellezza ci sia nel costruire dei momenti e degli spazi liberati, in cui vengono accolti i nostri corpi, menti e attitudini con tutte le loro diversità, in cui si parte da sé non per imporre il proprio punto di vista ma per decostruire verità imposte e abitudini che ci soffocano. Le lotte di genere ci insegnano, ogni giorno, che solo un approccio intersezionale può aiutarci a vedere le contraddizioni e le complessità in cui siamo immerse. Le questioni di genere, quindi, come trampolino di lancio per combattere molteplici forme di oppressione. Nessuna esclusa, non una di meno.

Per tutto questo, nel fiorire di comunicati intorno alla vicenda di Parma, non possiamo che aggiungere: si può fare! Un altro agire politico è possibile! Se davvero vogliamo un movimento libero dal sessismo mettetevi e metteteci in discussione, abbandonate certezze stantie, non per dovere, ma per scoprire piaceri nuovi. Ambrosia è aperta al confronto e alla partecipazione.

Gli strumenti ci sono, basta usarli.

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#NosMueveElDeseo: racconti dal mondo verso lo sciopero dell’8 marzo

 

14 Dicembre 2016  Piano Terra via confalonieri, 3
h 19:00/23:00

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Il 25 novembre si è manifestata, in tutto il mondo, la forza di un movimento femminista che negli anni ha lavorato a lungo quasi sottotraccia e che ora esplode in tutta la sua potenza. Una marea che è partita dall’Argentina e ha attraversato l’America Latina, l’Europa e l’Asia.
Il 14 dicembre a PianoTerra ascolteremo i racconti di chi queste lotte le ha attraversate per dare corpo e sangue a questa “internazionale femminista” che prende forma: ci collegheremo, infatti, con l’Argentina, col Messico e con la Turchia e cercheremo di mettere in comune i nostri vissuti e le nostre pratiche, per contaminarci e immaginare nuovi percorsi di lotta.
Con tutto l’entusiasmo delle giornate romane del 26 e 27 novembre Non Una di Meno moltiplicheremo il desiderio che ci muove verso lo sciopero dell’8 marzo.

“Intrecciando lingue e superando frontiere, come fanno le donne migranti che sfidano l’illegalizzazione della nostra mobilità, emerge la ribellione contro la violenza, contro la femminilizzazione della povertà, contro il razzismo, contro l’assenza di rappresentazione politica, contro il tentativo di confinare le donne e le ragazze nello spazio domestico, contro i dogmi religiosi che si appropriano dei nostri corpi e delle nostre vite, contro la maternità come obbligo e contro la criminalizzazione dell’aborto, contro le nuove forme di sfruttamento capitalistico e la precarizzazione delle nostre esistenze. Contro le spoliazioni che avvengono su molteplici livelli, perché né la terra né i nostri corpi sono territorio di conquista.
In tutto il mondo, ci organizziamo con uno slogan comune: #NiUnaMenos#VivasNosQueremos #NosMueveElDeseo” (da http://www.dinamopress.it/news/linternazionale-femminista)

 

14 Dicembre 2016 al Piano Terra in via Confalonieri, 3

dalle 19 aperitivo

alle 20 collegamenti con Argentina, Messico e Turchia

https://www.facebook.com/events/1740500972938513/?active_tab=about

 

 

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Nessun* si salva da sola

nonunadimenoverso la manifestazione:

Ni una menos! Non una di meno!

Il 26 novembre a Roma scenderemo in piazza contro la violenza maschile sulle donne, come recita lo slogan della manifestazione Non una di meno.

Una manifestazione vitale, oggi, perché crediamo che solo una lotta femminista, capace di riprendersi lo spazio pubblico, sia in grado di darci la forza di resistere e rinsaldare quei legami e quelle reti che ci tengono vive.

Sappiamo, infatti, che la violenza maschile (e con maschile intendiamo una postura e non certo una biologia) è strutturale, sistemica, quotidiana, tutto fuorchè un’emergenza improvvisa e imprevedibile. Si tratta, ogni volta, di un raptus diverso, di malesseri differenti e di scuse che giustificano i carnefici. Sappiamo che questa violenza è sono il frutto più esplicito di una cultura maschilista che si nutre di battute, fischi per strada, mani sul culo, disparità salariale e di status, pretese di trovare la cena pronta e di definire l’altra. E’ una violenza che si nutre dell’eteronormatività, ossia l’eterosessualità come unica forma di relazione possibile, e si rivolge contro tutte le soggettività che sfidano il binarismo di genere e mettono in questione i modelli egemonici di femminilità e mascolinità.

Sappiamo che la violenza è alimentata da un sistema di welfare che si rivolge costantemente alla struttura famigliare come unico referente sociale, rinchiudendo le donne nelle strette maglie del privato e della coppia, in un incastro temibile con le retoriche dell’amore come forza salvifica e totalizzante. Il lavoro di cura diventa così gabbia obbligata e prima cornice che identifica il soggetto-donna senza possibilità di diversificare scelte e desideri. Sappiamo che la violenza si nutre di istituzioni (ospedali, polizia, tribunali, etc.) che per prime, dichiarando di combatterla, la minimizzano. Fedeli all’adagio “tra moglie e marito” e all’idea che la fine di una relazione sia un fallimento da prevenire ad ogni costo (anche quello della vita di una donna!) producono immaginari repressivi ostacolando tutte le forme di educazione, formazione e tutela che potrebbero costruire alternative a questa mentalità.

Sappiamo che la violenza si rafforza anche grazie ai media che ad ogni nuovo femminicidio sono pronti a scandagliare la vita della vittima per metterne in luce ogni deviazione dalla norma. Ogni dettaglio che esce dallo schema della nostra società ancora fortemente patriarcale e repressiva diventa una giustificazione per ogni carnefice oppure viene riportato a supposti costumi ancestrali se proviene da contesti culturali diversi, sommando così razzismo a sessismo. Media che non perdono occasione di dirci che le vittime non sono tutte uguali: che le vite delle donne transessuali o delle prostitute valgono un po’ di meno, senza riconoscere loro lo statuto pieno di donne.

Sappiamo che la violenza attraversa ogni ambito delle nostre vite, anche quelli dove dovremmo essere al centro di pratiche di cura, come i consultori, sempre più colonizzati da medici obiettori, e le sale parto, in cui si agisce spesso violenza ostetrica. Sappiamo che la violenza si nutre anche del binarismo di genere rafforzato da una medicina che pratica operazioni chirurgiche di riassegnazione del sesso su* neonat* intersex e che sottopone le persone transgender a percorsi di patologizzazione e medicalizzazione.

Sappiamo che la violenza si annida in ogni ambiente, anche in quelli che si credono immuni come i movimenti che contribuiamo ad animare e che troppo spesso riproducono dinamiche sessiste.

Per tutto questo viviamo la manifestazione del 26 come un vero punto di partenza, in cui annodare i fili delle lotte che esistono e inventarne di nuove, in cui non delegare, a nessuno, la decisione su come tutelarci, perché sappiamo che la tutela migliore è quella che ci fa essere indipendenti e allo stesso tempo connesse con le altre, capaci di reagire perché forti di un noi che è già politico.

Per tutto questo saremo nello spezzone transfemminista e queer (https://sommovimentonazioanale.noblogs.org/post/2016/11/02/26n-per-uno-spezzone-transfemminista-queer-al-corteo-nazionale-contro-la-violenza-maschile-sulle-donne/), a ricordare che la violenza maschile sulle donne è matrice di altre violenze e di altre oppressioni e che nessun* si salva da sola.

 

 

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“Non pensavo potesse succedere a me”. Storie di lavoro e molestie

non-pensavo_mastroianniIl 10 novembre alle 19 a Macao Slavina condurrà un laboratorio dal titolo “Non pensavo potesse succedere a me” per raccontare e raccontarsi storie di violenza, molestie e discriminazioni sul posto di lavoro. Ambrosia ha scelto di sostenere questo progetto per cercare nuove forme di complicità e cospirazione femminista che, anche in vista della manifestazione “Non una di meno” del 26 novembre, ci aiutino a restistere e respirare meglio.

1. come è nata l’idea di questo laboratorio?

Leggere “Toglimi le mani di dosso” (Olga Ricci, Toglimi le mani di dosso, Chiarelettere) mi ha fatto stare molto male. Ho rivissuto alcuni episodi della mia vita professionale in cui, in forma plateale o molto ambigua, il mio non sottostare a delle dinamiche di abuso mi ha portato a perdere delle occasioni. E ho ripensato a situazioni in cui invece la mia leggerezza nel mischiare i livelli di coinvolgimento ha generato conseguenze disastrose. Però pur empatizzando molto con la condizione della protagonista (e comprendendo pienamente la sua rabbia) dal luogo in cui mi trovo ora (sono nella mia maturità esistenziale e professionale, molto distante dall’ansia giovanile di trovare un posto nel mondo o affermarmi in una professione) sento di avere una lucidità diversa nell’analizzare certe situazioni – e grazie all’allenamento femminista ho sviluppato anche una migliore capacità di riconoscerle e reagire. Parlando con le amiche poi mi sono resa conto dell’impressionante diffusione del fenomeno e parlando con Olga – l’autrice del libro – di quanto invece sia sommerso, silenziato, di quanto poco spazio abbia nel discorso pubblico (anche in quello antagonista). Quindi un po’ per valorizzare e dare ulteriore respiro al lavoro di Olga, un po’ pensando a quante vivono ancora questi episodi – conseguenze del sistema sessista in cui cresciamo – con senso di colpa per mancanza di un ambito di confronto con altre vittime, un po’ per provare a costruire un quadro interpretativo (utile tanto alle donne quanto agli uomini che non vogliano riprodurre un modello di oppressione) ho pensato a questa proposta laboratoriale. Ho paura, perché non è scontato che funzioni e lavorando con una materia così scottante il timore della non riuscita non è una questione di soddisfazione personale ma l’ansia di disattendere aspettative di liberazione, però meglio provarci…

2. come definiresti una molestia?

La molestia è un atto di disturbo, nel suo significato giuridico generale. É un’azione che quando sei sul luogo di lavoro distoglie la tua attenzione da quello che devi fare, ti deconcentra e depotenzia quando non ti umilia direttamente. Nel caso che ci interessa è un’azione legata allo squilibrio di potere nello spazio pubblico tra uomo e donna e si realizza in forme e gradi di intensità diversi. Un primo livello è puramente verbale, con osservazioni sull’aspetto fisico, l’abbigliamento, complimenti non richiesti, inviti – forme di pressione e di intrusione che possono raggiungere il livello di invadenza fisica e che arrivano a volte al ricatto sessuale vero e proprio. Chiaramente perché si completi – per così dire – l’escalation, la disparità di potere non deve essere legata solo al genere di appartenenza ma anche al posizionamento all’interno del gruppo di lavoro, però il contesto di abuso lo si vive a volte anche nella relazione tra colleghi di pari grado, con forme di invasione dello spazio personale che sono rivendicate come galanteria o vissute come conseguenza logica dell’eteronorma: tu sei donna, io sono uomo, quindi “ci provo”.

3. quali sono le caratteristiche degli ambienti di lavoro che li rendono così spesso teatro di molestie e discriminazioni?

Molto spesso i luoghi di lavoro funzionano attraverso strutture gerarchiche e ovviamente quando tutti i soggetti non hanno lo stesso potere contrattuale esiste automaticamente la possibilitá che chi sta in condizione di inferioritá venga vessato. E quello femminile è il soggetto inferiore per definizione nella nostra societá – la sua relazione con lo spazio pubblico ne è la prova: per le donne la molestia verbale è purtroppo spesso il grado zero della socializzazione – da quando cominci ad essere identificabile come “donna” (12, 13 anni?) è difficile sfuggire a osservazioni sessualizzanti quando non direttamente all’invasione della propria intimitá.

Potremmo arrivare a parlare del tetto di cristallo e della mancanza cronica di donne nei luoghi di potere, ma per farla breve mi limiterei ad aggiungere che nell’attualitá ancor prima di parlare di gerarchie la questione di fondo é che il lavoratore e la lavoratrice sono soggetti ad un livello di precarietá endemico, e pur di conquistare uno straccio di salario si trovano costretti a sottostare a performance umilianti anche quando non sono relazionate direttamente al ruolo di genere (peró… non a caso si parla di femminilizzazione del lavoro).

4. quanta “complicità” femminile pensi ci sia in questi casi? (pensiamo non a chi riceve le molestie, ma a chi osserva senza fare nulla o a chi sposa il sessismo per raggiungere più rapidamente i suoi scopi)

Nell’apocalittico contesto lavorativo in cui viviamo la solidarietá di classe è un concetto che non ha perso solo appeal, ma proprio se ne disconosce il senso, anche con una certa violenza. La regola è la competizione e in un ambito competitivo la complicitá non è contemplata. C’è anche da dire che spesso le forme di molestia sono cosí sottili e “personalizzate” che bisogna aver un occhio ben allenato per riconoscerle – o in alternativa provare una profonda empatia per la collega che ci racconta di averle subite, il che purtroppo non è scontato. Quanto alle donne che basano il loro avanzamento sociale sullo scambio sessuo-economico non si va oltre l’insulto generico, non esiste un’analisi lucida ne’ tentativi di reazione: il sistema-lavoro italiano è talmente malato di nepotismo e basato su dinamiche di favoritismo che tutto è vissuto come una fatalitá inevitabile.

5. quali sono le strategie di narrazione che pensi possano essere utili?

Prima di tutto è importante, partendo da se’, riconoscere i livelli di complicitá involontaria che attivano la dinamica dell’abuso – ovviamente non per colpevolizzarsi ma per capire quali sono le risorse di prevenzione (purtroppo sono storie che tendono a ripetersi). Poi riuscire a dare a un nome alle cose è un altro passaggio essenziale: capire, attraverso la condivisione della propria storia, quanto la posizione di vittima in questo caso non sia legata a una tragica casualitá o agli errori nella gestione della relazione che possiamo aver commesso, ma a un tipo di oppressione sistemica. Imparare ad usare le parole chiave: intimidazione, coercizione, mobbing. Trovare quelle che ancora non esistono… E attraverso questa forma di coming out rialzare la testa: Non pensavo potesse succedere a me non è una frase scelta a caso. Succede a tutte e saperlo ci aiuta a superare il senso di sconfitta e il senso di colpa. E magari ad attivare strategie di reazione collettiva.

6. e altre strategie di resistenza?

Imparare ad utilizzare la comunicazione assertiva. Riconoscere quando è il momento di mostrare i denti e usare una legittima dose di aggressivitá per difenderci. Provare a costruire reti di relazione dal basso basate sulla fiducia che ci rendano meno sole davanti al pericolo. Riscoprire il senso della complicitá tra pari anche per decostruire il fascino del potere.

Questi sono i primi spunti su cui provare a lavorare – diciamo che l’importante è non rassegnarsi e pensare che siccome è un problema sistemico siamo impotenti.

Tra l’altro il giorno 19 ci sará una iniziativa di presentazione del libro piú istituzionale, al Mare Culturale Urbano, alla quale parteciperanno rappresentanti sindacali e giuriste: immagino che quella sará un’altra occasione utile per capire qual’è il quadro legislativo e quali sono le risorse legali per chi subisce questo tipo di abusi.

7. perchè hai deciso di aprirlo solo alle donne?

Il fenomeno della violenza di genere sul lavoro in realtá non riguarda direttamente solo le donne (colpisce anche tutte le minoranze portatrici di sessualitá dissidenti: lesbiche, gay, transessuali), ma ho pensato di cominciare il percorso tra socializzate donne in realtá per semplificarmi un po’ la vita – visto che è il primo esperimento di questo tipo.

La consapevolezza di base è che siamo imbevute tutte della stessa cultura maschilista e abbiamo avuto un’educazione simile a un certo tipo di accondiscendenza: la programmazione di genere (non solo familiare ma sociale) ci ha preparate a un destino di sottomissione (al quale cerchiamo di sfuggire). Partiamo da lí e la scelta dell’ambito separato è per non doverci ritrovare a spiegare a chi invece ha imparato fin da piccolo a prendere a testate il prossimo quando voleva una macchinina il perché quando il capo ci ha messo una mano sul culo non abbiamo avuto la forza di reagire ma siamo andate a piangere in bagno. Perché è vero che come dice Despentes “a questo punto non lo so piú cos’è una donna – e nemmeno mi interessa” ma il separatismo come tattica per la decolonizzazione ha ancora una sua validitá.

8. come si inserisce nel percorso verso il 26 novembre?

Lavoro di solito con la sessualitá, che è un’altra materia molto censurata – e mi sono accorta in questi anni di laboratori che un primo passo fondamentale, per affrontare una questione problematica, è avere la possibilitá di confrontarsi tra simili in uno spazio intimo che non sia concepito come privato ma caratterizzato come politico. Trovare le parole per dirsi, ascoltare quelle delle altre per differenziarsi o ritrovarsi…

La spirale dell’abuso riconducibile alla violenza di genere (che sia sessuale, domestica, ostetrica – c’è davvero l’imbarazzo della scelta, ahinoi) sembra irrevocabile soprattutto quando una si sente sola e incompresa – e tessere reti di supporto è una forma di impoteramento essenziale, indispensabile.

Ho creduto giusto provare a dare il mio contibuto aprendo uno spazio di confronto e di discorso su un tema poco frequentato, per le mie compagne ma anche per chi il femminismo non l’ha ancora incontrato e non ne capisce il senso pur avendo vissuto la violenza dell’oppressione patriarcale sulla sua pelle.

Qui trovate altre info sul laboratorio: https://www.facebook.com/events/1594084104227136/

e su Slavina: https://malapecora.noblogs.org

per iscriversi (costa 10 euro) scrivete a ziaslavina@gmail.com

*elaborazione grafica di Maria-Letizia Mastroianni

da milanoinmovimento.com

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Il genere. Tra neoliberismo e neofondamentalismo

Venerdì 21 Ottobre ore 18:00
Antigone, libreria lgbt e queer organizza a RiMake (ex bnl) la presentazione di:

*** Il genere. Tra neoliberismo e neofondamentalismo ***
ed. ombrecorte

intervengono
– Federico Zappino, curatore del libro
– Carlotta Cossutta, collettivo Ambrosia di Milano e autrice del
saggio “Il personale è politico. La ristrutturazione neoliberista della casa”

… a seguire apertivo!

Libreria Antigone
www.libreriantigone.com

RiMake (ex bnl)
spazio sociale autogestito
via Astesani 47, Milano
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Non una di meno

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NI UNA MENOS! NON UNA DI MENO!

Tutte insieme contro la violenza maschile sulle donne
Verso una grande manifestazione: il 26 Nov tutte a Roma!

Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Vogliamo che sabato 26 novembre Roma sia attraversata da un corteo che porti tutte noi a gridare la nostra rabbia e rivendicare la nostra voglia di autodeterminazione.

Non accettiamo più che la violenza condannata a parole venga più che tollerata nei fatti. Non c’è nessuno stato d’eccezione o di emergenza: il femminicidio è solo l’estrema conseguenza della cultura che lo alimenta e lo giustifica. E’ una fenomenologia strutturale che come tale va affrontata.
La libertà delle donne è sempre più sotto attacco, qualsiasi scelta è continuamente giudicata e ostacolata. All’aumento delle morti non corrisponde una presa di coscienza delle istituzioni e della società che anzi continua a colpevolizzarci.
I media continuano a veicolare un immaginario femminile stereotipato: vittimismo e spettacolo, neanche una narrazione coerente con le vite reali delle donne. La politica ci strumentalizza senza che ci sia una concreta volontà di contrastare il problema: si riduce tutto a dibattiti spettacolari e trovate pubblicitarie. Non c’è nessun piano programmatico adeguato. La formazione nelle scuole e nelle università sulle tematiche di genere è ignorata o fortemente ostacolata, solo qualche brandello accidentale di formazione è previsto per il personale socio-sanitario, le forze dell’ordine e la magistratura. Dai commissariati alle aule dei tribunali subiamo l’umiliazione di essere continuamente messe in discussione e di non essere credute, burocrazia e tempi d’attesa ci fanno pentire di aver denunciato, spesso ci uccidono.

Dal lavoro alle scelte procreative si impone ancora la retorica della moglie e madre che sacrifica la sua intera vita per la famiglia.
Di fronte a questo scenario tutte siamo consapevoli che gli strumenti a disposizione del piano straordinario contro la violenza del governo, da subito criticato dalle femministe e dalle attiviste dei centri antiviolenza, si sono rivelati alla prova dei fatti troppo spesso disattesi e inefficaci se non proprio nocivi. In più parti del paese e da diversi gruppi di donne emerge da tempo la necessità di dar vita ad un cambiamento sostanziale di cui essere protagoniste e che si misuri sui diversi aspetti della violenza di genere per prevenirla e trovare vie d’uscita concrete.
È giunto il momento di essere unite ed ambiziose e di mettere insieme tutte le nostre intelligenze e competenze.

A Roma da alcuni mesi abbiamo iniziato a confrontarci individuando alcune macro aree – il piano legislativo, i CAV e i percorsi di autonomia, l’educazione alle differenze, la libertà di scelta e l’IVG – sappiamo che molte altre come noi hanno avviato percorsi di discussione che stanno concretizzandosi in mobilitazioni e dibattiti pubblici.
Riteniamo necessario che tutta questa ricchezza trovi un momento di confronto nazionale che possa contribuire a darci i contenuti e le parole d’ordine per costruire una grande manifestazione nazionale il 26 novembre prossimo.

Proponiamo a tutte la data di sabato 8 ottobre per incontrarci in una assemblea nazionale a Roma, e quella del 26 novembre per la manifestazione.
Proponiamo anche che la giornata del 27 novembre sia dedicata all’approfondimento e alla definizione di un percorso comune che porti alla rapida revisione del Piano Straordinario Nazionale Anti Violenza.
Queste date quindi non sono l’obiettivo ma l’inizio di un percorso da fare tutte assieme.

Realtà Promotrici:
Rete IoDecido
D.i.Re – Donne in Rete Contro la violenza
UDI – Unione Donne in Italia

 

Per adesioni scrivi qui

Per info scrivi qui 

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