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Atlantide r-esiste!
Atlantide è stata ed è, per tante di noi, la terra mitica che il suo nome evoca: un luogo di autogestione femminista, lesbica, gay, queer e punk. Uno spazio davvero liberato in cui poter sperimentare i propri desideri e immaginare nuove relazioni, dove i corpi si liberano all’unisono con le menti. Uno spazio più unico che raro che ha dato vita a percorsi, progetti e sogni e che continua a costruire immaginari.
Ora il Comune di Bologna ha fissato una data in cui chi anima e rende possibile Atlantide dovrà lasciare lo spazio di Porta Santo Stefano: 15 anni di storia minacciati da uno sgombero annunciato per il 15 aprile. Il Comune afferma di voler restituire quello spazio alla cittadinanza, senza vedere che Atlantide è già uno spazio di tutt*, attraversato da migliaia di persone e accogliente come pochi. L’amministrazione comunale gioca sulla pelle delle persone misconoscendo la storia di Atlantide: si serve dell’articolo del codice che consente la riappropriazione dei beni confiscati alla mafia utilizzando la retorica della legalità più cieca, che vuole restituire alla collettività uno spazio che collettivo lo è già. Proprio per questo sappiamo che uno sgombero, per quanto doloroso, non potrà cancellare la ricchezza e la diversità di Atlantide, che ha già sparso i suoi semi in moltissimi spazi in tutta Italia, ma non per questo quei muri così carichi di storia e di emozione saranno abbandonati senza lottare.
Atlantide ha scelto di resistere sciogliendo le associazioni che la costituivano per rivendicare fino in fondo la pratica dell’autogestione. In questi tempi bui di attacchi all’autodeterminazione di donne, trans, gay e lesbiche non possiamo che essergliene grate e schierarci al loro fianco, per una resistenza favolosa e scintillante come le Atlantidee.
Ambrosia
Ps: se non l’avete ancora fatto firmate la petizione: http://www.autistici.org/atlantideresiste/
La normalità e le regole sulle pubblicità sessiste
Per contrastare la diffusione di stereotipi sessisti e discriminatori la Giunta del Comune di Milano ha approvato delle regole per valutare le pubblicità da affiggere negli spazi comunali (qui trovate l’annuncio). Il Comune identifica 5 tipologie di messaggi incompatibili con l’immagine che intende promuovere: 1) le immagini che rappresentano o incitano atti di violenza fisica o morale; 2) le immagini volgari, indecenti, ripugnanti, devianti da quello che la comunità percepisce come “normale”, tali da ledere la sensibilità del pubblico; 3) i messaggi discriminatori e/o degradanti che, anche attraverso l’uso di stereotipi, tendono a collocare le donne in ruoli sociali di subalternità e disparità; 4) la mercificazione del corpo, attraverso rappresentazioni o riproduzioni della donna quale oggetto di possesso o sopraffazione sessuale; 5) i pregiudizi culturali e gli stereotipi sociali fondati su discriminazione di genere, appartenenza etnica, orientamento sessuale, abilità fisica e psichica, credo religioso. Queste regole sono state pensate non come una censura, ma come tutela e potrebbero essere uno spunto di riflessione per i pigri pubblicitari che si limitano a piazzare due belle tette di fianco a qualsiasi cosa.
Riflettere sulla pubblicità e sui suoi messaggi è importante, anche perché troppe volte ci siamo trovate a camminare in una città tappezzata di poliziotti che molestano belle ragazze, scene di stupri patinati e donne in cucina ad aspettare mariti distratti, e siamo contente che il Comune abbia iniziato a pensarci e a immaginare strumenti per intervenire.
Però (già, c’è un però) ci colpisce particolarmente il secondo messaggio: “le immagini volgari, indecenti, ripugnanti, devianti da quello che la comunità percepisce come “normale”, tali da ledere la sensibilità del pubblico”. Non possiamo fare a meno di chiederci che cosa sia questa normalità percepita dalla comunità (quale comunità?) e quale sia il pubblico che può sentirsi offeso. Ci stupisce che per tutelare le donne, o chiunque venga discriminato, si faccia ricorso alla normalità, concetto tra i più opprimenti e discriminanti, e ci spaventa pensare che sia una generica comunità a poter decretare cosa sia normale e cosa no. E se il pubblico trovasse ripugnante vedere due donne che si baciano? E se la comunità ritenesse indecente una donna grassa in bikini? E se trovasse volgari due uomini che si tengono per mano (questo è accaduto a Catania proprio per una pubblicità)? E se non considerasse normale un uomo che cambia un pannolino?
Quasi sempre tutelare dalle discriminazioni significa proprio contrastare quello che la comunità ritiene normale e accettabile, vuol dire andare contro la morale corrente per proporre immaginari nuovi e più inclusivi e avere il coraggio di sfidare la sensibilità del pubblico. Questo coraggio ce lo saremmo aspettate dal Comune e ce lo aspettiamo ancora: perché non eliminare quel secondo punto?