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17 GENNAIO ORE 14 – PIAZZA LUIGI EINAUDI (MILANO)
Expo è una macchina incubatrice di precarietà diffusa, uno strumento di sperimentazioni in fatto di contratti lavorativi e di volontariato, e un dispositivo di controllo e normalizzazione delle vite delle persone.
Expo è un gigante di cemento che si mangia intere aree extraurbane e che lascerà in eredità strutture fantasma abbandonate a loro stesse, che non avranno più valore per nessuno e dunque a nessuno interesseranno più.
Expo è un generatore di debito pubblico travestito da grande evento, e sfruttamento mascherato da opportunità.
Non ci scandalizza la presenza del suo logo insieme a quello della Regione Lombardia sulla presentazione di un convegno dal titolo “Difendere la famiglia per difendere la comunità”.
Ci fa inorridire la politica sulle donne che Expo sta portando avanti e che è perfettamente in linea con l’immagine di donna, regina del focolare domestico e madre prima di tutto, depositaria di conoscenze legate al cibo, al nutrimento e alla capacità di “prendersi cura” (così recita il sito di Women for Expo), un’immagine che ci riporta ad epoche oscurantiste e di matrice indubbiamente patriarcale, sostenuta per esempio dalla giornalista Costanza Miriano, autrice di imperdibili testi come “_Sposati e sii sottomessa_” (e non è satira). In questo svilimento dei diritti delle donne e delle soggettività LGBTIQ l’unico segnale di apertura è dettato dall’interesse economico che sta dietro alla valorizzazione del turismo omosessuale, con un fallito progetto di Gay Street patrocinata dal Comune di Milano ed Expo che, nel migliore degli stereotipi, avrebbe messo un’intera strada, ripulita dal degrado per l’occasione, a disposizione dei gay (ovviamente maschi) tanto attenti alla moda e allo shopping, un po’ un’area protetta, in cui questi strani individui possano muoversi felici e alla quale il mondo possa guardare sorridendo con sollievo.
Questo è pinkwashing: nessuna reale volontà di incidere sulla cultura delle libertà. Libertà di essere chi e come si vuole, di costruire le famiglie che più ci piacciono e meglio ci fanno stare, di vivere la sessualità e la vita senza subire il giudizio di nessuno.
Questo è Expo ed è per questo che non ci stupisce l’imprudente accostamento del suo logo ad un convegno che parla della famiglia “naturale” come unica famiglia legittima, con un ospite d’eccezione come Mario Adinolfi, ex PD, autore del libro “_Voglio la mamma_” in cui contesta i “falsi miti di progresso” (aborto, eutanasia, matrimonio omosessuale, utero in affitto).
Sabato 17 gennaio saremo dunque in piazza anche noi, con questi contenuti, con una forte critica al convegno e alla Regione Lombardia che lo organizza e lo ospita in una sala pubblica (e che lo prende a modello per le sue politiche in materia di famiglia), ma con una forte opposizione anche ad Expo e a quei partiti che dovrebbero essere rappresentanti della società e che sempre più spesso vediamo contemporaneamente seduti nei luoghi del potere e delle decisioni, nei consigli per Expo, ma anche nei convegni omofobi come pure nelle piazze che li contestano, e che sembrano non rendersi conto che non si può sempre “tenere insieme tutto” e che a volte è necessario prendere delle posizioni chiare e univoche.
Il 17 gennaio in piazza ci saremo anche noi,
MA TORNEREMO PRESTO, E ANCOR PIU’ NUMEROSE SOTTO AL PALAZZO DELLA REGIONE LOMBARDIA
SABATO 7 FEBBRAIO 2015 ORE 14
VIA MELCHIORRE GIOIA (PALAZZO REGIONE LOMBARDIA)
PER COSTRUIRE INSIEME IL NO EXPO PRIDE 2015:
“RIAPPROPRIARSI DELLE CITTA’ PER DIFENDERSI DA EXPO E OMOFOBIA”
DONNE, FROCE, QUEER VERSO NO EXPO PRIDE 2015
NÉ NORMALI NÉ SFRUTTATE! Appello per una mobilitazione frocia, femminista e queer contro Expo 2015
Expo2015 non significa solamente cementificazione, mafia e investimenti di ingenti capitali (pubblici) a fini di guadagni (privati). Expo 2015 è l’alibi per giustificare e mettere in campo, da una parte, modelli di ridefinizione del mondo del lavoro, e dall’altra, modelli di controllo e normalizzazione della popolazione. Governo, comune, regione e società private, inclusi i grandi sponsor nazionali ed esteri, sono consapevoli che i propri guadagni si consolideranno dal giorno dopo la chiusura dell’Esposizione Universale a Milano, quando ognuno di essi metterà a bilancio i vantaggi sia politici che economici che Expo avrà loro consegnato.
All’interno del meccanismo di raccolta di consenso che Expo tenta di imbastire attorno a sé, con propaganda e promesse subdolamente efficaci, come collettivi di genere ci interessa soffermarci e capire il significato che assumono la campagna WomenForExpo e la costruzione della GayStreet milanese.
WomenForExpo
Questo progetto coinvolge Comune, Provinica, Regione, Expo SpA, Ministero dell’Economia e delle Finanze e grandi sponsor privati, oltre ad associazioni e realtà femminili e di donne, per lo più legate a quel femminismo della differenza tanto potente in Italia.
WfE è la “quota rosa” di Expo, si avvale di una potente struttura burocratica ed economica, e propone l’immagine di una donna che trova in Expo il proprio posto in quanto imprenditrice, cittadina europea e del mondo,e soprattutto madre, quindi “naturalmente” votata al prendersi cura, al cullare e al “nutrire il pianeta”. E’ un progetto che normalizza la condizione di oppressione delle donne, svelandola e infiocchettandola come fosse qualcosa da accettare e addirittura esaltare.
Da un lato si promuove la donna imprenditrice e di potere, sfruttatrice di altre donne e di altri uomini, e dall’altro si accentua l’oppressione di tutte le altre donne, giustificandola con la “vocazione” alla maternità e alla cura, per impedire qualsiasi rivendicazione di libertà e parità, del resto impossibile in una società che divide per sfruttare meglio. Miliardi di donne che lavorano ogni giorno nei settori dell’alimentazione e della cura non troveranno in Expo nessuno spazio, anzi: si confermerà, tramite lo schiavismo mascherato del “volunteering” e del lavoro precario, la condizione di sfruttamento doppio a cui oggi le donna sono sottoposte.
GayStreet in via Sammartini
Il Comune di Milano ha deciso di ripulire via Sammartini (adiacente alla Stazione Centrale) dalla microcriminalità mettendo in atto politiche securitarie e di controllo, per poi colorarle di rainbow. Telecamere, chiusura del traffico e presenza permanente di polizia locale vorrebbero permettere al turismo (u)omosessuale di Expo di trovare in quella via una risposta commerciale. L’intento – dichiarato – è di puntare a incrementare le cifre del turismo omosessuale e del mercato “pink”. Viene proposto l’unico modello di omosessuale gradito ed integrabile, normalizzato, maschile e di classe media, escludendo completamente i soggetti lgbit*q che non rientrano negli stereotipi accettati socialmente o che non risultano essere utili alle logiche di mercato.
La decisione della costruzione della GayStreet, calata dall’alto e rivolta al turismo e non alle cittadine e ai cittadini milanesi, ci toglie ogni possibilità di autodeterminazione sulla città che viviamo e nella quale subiamo ancora quotidianamente l’esclusione, la discriminazione, l’omofobia.
Sebbene i due progetti abbiano consistenze diverse, sono entrambi accomunati dall’utilizzare le nostre identità e i nostri corpi in nome del profitto, e propongono la sussunzione delle nostre rivendicazioni e delle nostre lotte all’interno di un processo sociale e politica, sempre più escludente, maschile e razzista. La quota rosa di Expo e la GayStreet risultano essere dispositivi di normalizzazione e di reclusione all’interno di spazi fisici e politici, che, vantandosi di essere progetti progressisti, tentano di nascondere lo stato dell’arte dei percorsi di smantellamento dei diritti nel mondo del lavoro, della scuola, della sanità e del welfare, e l’assenza di ogni tipo di diritto per i soggetti lgbit*. Rifiutiamo i modelli di donna e di omosessuale che ci propongono e ci impongono, e distruggiamo i discorsi che la società “per bene” fa in nome nostro e dei nostri desideri.
Invitiamo per questo tutte le singole, le realtà e le collettive femministe, froce, queer, trans, intersex ad un’assemblea nazionale a Milano il 14 Dicembre, per discutere e analizzare collettivamente la consistenza di questi due progetti, e per costruire insieme una mobilitazione nazionale femminista e queer contro Expo e le sue omo/femo-normalizzazioni.
Ci vogliono normali ci avranno ribelli!
Ci danno una strada, ci riprendiamo la città!
Milano, 14 Dicembre, ore 10:00 a RiMake, ex BNL, spazio recuperato in via Astesani 47 (MM3 Affori FN)
Collettivo femminista e lgbit* Le Lucciole, Ambrosia, Collettivo femminista Shora, Donne nella crisi
Per adesioni, informazioni e ospitalità: lucciole@autistiche.org ambrosia.milano@gmail.com