Ambrosia e lo sciopero dell’8 Marzo: per un femminismo anticarcerario


“Essendo stata una volta qua, Goliarda, non sperare più di uscire com’eri prima. Né tu ti sentirai mai più una di fuori, né loro – quelli di fuori – ti riterranno mai più una di loro. Vedrai: quando uscirai ti porteranno magari dei fiori, ti diranno benvenuta, ti abbracceranno, ma il loro sguardo sarà cambiato per sempre quando si poserà su di te.” (G. Sapienza, L’università di Rebibbia)

Siamo qui e siamo ovunque anche per tutte quelle donne e soggettività che la piazza non possono attraversarla. Oggi come Ambrosia parliamo di transfemminismo anticarcerario. 
Come dice Angela Davis “il carcere è considerato talmente “naturale” che è estremamente difficile immaginare che si possa farne a meno” e allora vogliamo che questa giornata di sciopero sia anche questo, uno sforzo di immaginazione e di lotta contro il carcere, per una giustizia trasformativa.

 

In questi mesi il tema del carcere e del 41bis è uscito dall’ombra, ma la luce è quella del potere e dell’oppressore. Il carcere è un grande rimosso della società che abitiamo. Le persone recluse vengono disumanizzate e poi dimenticate. E se il carcere è il grande rimosso, quando se ne parla si tratta sempre di carceri maschili. Mai una parola sulle donne detenute, o sulle persone trans, rinchiuse in spazi che non rispettano la loro autodeterminazione. Come in ogni aspetto della nostra società, anche quello più ghettizzato, le soggettività LGBTQIA+ e le donne sono le dimenticate tra le dimenticate. 

 

E in ambito detentivo maschile, si tace sempre che sono le donne a fare lavoro di cura, con immense file nei giorni di visita, cariche di pacchi. 
Le stesse file ci sono fuori dalle strutture femminili, ma sempre a carico di altre donne. 
La rimozione delle persone carcerate però, non è casuale, è strutturale e ragionata, soprattutto in una città come Milano. Nella società del controllo, le carceri non servono più a incutere timore, bensì tolgono spazio alla possibilità di espandere ulteriormente la gentrificazione. 
Non ci stupisce che torni il tema dello spostamento di San Vittore fuori dalla città, giustificato da sovraffollamento al 190% e dalla fatiscenza. 
Il sindaco Sala sta riprendendo le fila di un discorso che sentiamo dal 2001, sotto Albertini. Carceri lontane dagli occhi, lontane dalla coscienza: fuori dalla città.

 

Noi non dimentichiamo! Vogliamo una città attraversabile da tutte le persone senza ghettizzazioni razziali, di classe e di genere. 
Vogliamo vivere la città e non essere costrette a cercare di sopravvivere ad essa. Vogliamo fondi per sanità e scuola pubblica
vogliamo un reddito di autodeterminazione universale di base e inclusivo. 
Vogliamo l’abolizione delle carceri con la stessa forza e rabbia con cui vogliamo scardinare le istituzioni che riproducono le gerarchie sociali e le violenze che ci opprimono ogni giorno.

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