Expo è una macchina incubatrice di precarietà diffusa, uno strumento di sperimentazioni in fatto di contratti lavorativi e di volontariato, e un dispositivo di controllo e normalizzazione delle vite delle persone.
Expo è un gigante di cemento che si mangia intere aree extraurbane e che lascerà in eredità strutture fantasma abbandonate a loro stesse, che non avranno più valore per nessuno e dunque a nessuno interesseranno più.
Expo è un generatore di debito pubblico travestito da grande evento, e sfruttamento mascherato da opportunità.
Non ci scandalizza la presenza del suo logo insieme a quello della Regione Lombardia sulla presentazione di un convegno dal titolo “Difendere la famiglia per difendere la comunità”.
Ci fa inorridire la politica sulle donne che Expo sta portando avanti e che è perfettamente in linea con l’immagine di donna, regina del focolare domestico e madre prima di tutto, depositaria di conoscenze legate al cibo, al nutrimento e alla capacità di “prendersi cura” (così recita il sito di Women for Expo), un’immagine che ci riporta ad epoche oscurantiste e di matrice indubbiamente patriarcale, sostenuta per esempio dalla giornalista Costanza Miriano, autrice di imperdibili testi come “_Sposati e sii sottomessa_” (e non è satira). In questo svilimento dei diritti delle donne e delle soggettività LGBTIQ l’unico segnale di apertura è dettato dall’interesse economico che sta dietro alla valorizzazione del turismo omosessuale, con un fallito progetto di Gay Street patrocinata dal Comune di Milano ed Expo che, nel migliore degli stereotipi, avrebbe messo un’intera strada, ripulita dal degrado per l’occasione, a disposizione dei gay (ovviamente maschi) tanto attenti alla moda e allo shopping, un po’ un’area protetta, in cui questi strani individui possano muoversi felici e alla quale il mondo possa guardare sorridendo con sollievo.
Questo è pinkwashing: nessuna reale volontà di incidere sulla cultura delle libertà. Libertà di essere chi e come si vuole, di costruire le famiglie che più ci piacciono e meglio ci fanno stare, di vivere la sessualità e la vita senza subire il giudizio di nessuno.
Questo è Expo ed è per questo che non ci stupisce l’imprudente accostamento del suo logo ad un convegno che parla della famiglia “naturale” come unica famiglia legittima, con un ospite d’eccezione come Mario Adinolfi, ex PD, autore del libro “_Voglio la mamma_” in cui contesta i “falsi miti di progresso” (aborto, eutanasia, matrimonio omosessuale, utero in affitto).
Sabato 17 gennaio saremo dunque in piazza anche noi, con questi contenuti, con una forte critica al convegno e alla Regione Lombardia che lo organizza e lo ospita in una sala pubblica (e che lo prende a modello per le sue politiche in materia di famiglia), ma con una forte opposizione anche ad Expo e a quei partiti che dovrebbero essere rappresentanti della società e che sempre più spesso vediamo contemporaneamente seduti nei luoghi del potere e delle decisioni, nei consigli per Expo, ma anche nei convegni omofobi come pure nelle piazze che li contestano, e che sembrano non rendersi conto che non si può sempre “tenere insieme tutto” e che a volte è necessario prendere delle posizioni chiare e univoche.
Il 17 gennaio in piazza ci saremo anche noi,
MA TORNEREMO PRESTO, E ANCOR PIU’ NUMEROSE SOTTO AL PALAZZO DELLA REGIONE LOMBARDIA
SABATO 7 FEBBRAIO 2015 ORE 14
VIA MELCHIORRE GIOIA (PALAZZO REGIONE LOMBARDIA)
PER COSTRUIRE INSIEME IL NO EXPO PRIDE 2015:
“RIAPPROPRIARSI DELLE CITTA’ PER DIFENDERSI DA EXPO E OMOFOBIA”
DONNE, FROCE, QUEER VERSO NO EXPO PRIDE 2015