Qualche giorno fa ero al parco giochi con mia figlia dueenne ed ho assistito a questa scena.
Si è unita a delle bambine che stavano giocando fra loro e ad un certo punto una l’ha spinta via con forza.
Mi sono avvicinata e ho chiesto il motivo del gesto.
Mi ha risposto: “Non può giocare con noi perchè LEI è un maschio!”.
Sono rimasta meravigliosamente esterrefatta. Questa frase pronunciata da un esserino così piccolo (tre anni e mezzo circa), aveva in sé tanto di quel significato, che non sapevo da che parte cominciare a sorprendermi.
Ero affascinata.
Dalla sincerità della risposta, dalla crudeltà dell’esclusione, dalla confusione grammaticale.
Ora, quando vesto Sophie per andare al nido, fondamentalmente uso abiti comodi. Quel giorno in particolare indossava pantaloni viola, scarpine rosse e un golfino blu/bianco/rosso. Capelli corti.
Nessun elemento che indicasse inequivocabilmente il suo genere. Eppure qualcosa ha fatto intendere a quella bambina che si trattava di una Lei, benchè apparisse come un maschio.
Il punto dolente rimane nascosto: l’esclusione.
Se LEI è un maschio, di certo non è una femmina, quindi non la voglio nel mio gruppo.
(Feroce).
Se a questo ragionamento, poi, dovessimo inserisce anche l’ambiguità del genere, non troveremmo pietà. Non solo non gioco con te perchè non si capisce se sei maschio o femmina, ma ti prendo pure in giro. Inevitabile.
È apparso un articolo sul New York Times Magazine, nonché tradotto da Internazionale, riguardo i bambini dall’identità di genere intermedia.
Non è necessario occuparsi di questioni di genere per apprezzare la portata del fenomeno che scaturisce da bambini che non si sentono né maschi, né femmine.
Li chiamano “bambini rosa”, sono maschi e amano giocare sia con le bambole, che con le macchinine; adorano travestirsi da spiderman, ma anche da principessa; indossano la gonna e giocano a calcio.
Eh già, perché chi ha deciso che il rosa è un colore prettamente femminile e l’azzurro no? Perché mai una bambina non potrebbe immedesimarsi nell’uomo ragno e un maschietto in Cenerentola?
Come dice Ruth Padawer nel suo articolo, “è insolito, ma non innaturale”.
Dopotutto, cosa significa da femmina? Un gioco non è pur sempre un gioco? Perchè mai una Barbie non si può considerare alla stessa stregua di un dinosauro, di una corsa, o di un’altalena? No, alcuni giochi hanno delle connotazioni molto definite. Glie le abbiamo date noi.
D’altra parte la storia ci mostra come nei secoli l’abbigliamento e le attività di genere siano state modificate quasi a tavolino per evitare conseguenze ritenute dannose sul piano sociale. A questo proposito nell’articolo è citato un bel saggio (che mi riprometto di leggere) scritto dalla professoressa del Mariland Jo Paletti, Pink and blue: telling the boys from the girls in America.
Questi bambini vivono la propria appartenenza di genere in uno spazio intermedio, la loro sessualità è definita “fluida” e, ovviamente, sono felici così. Non conoscono il significato delle parole “gay”, o “lesbica” e tantomeno sono consapevoli di costituire oggetto di studio da parte di sociologhi e psicologi.
Culturalmente, ci è dato conoscere solo un paio di opzioni: Maschio e Femmina.
Ma in mezzo esiste un mondo fatto di lustrini, pokemon, unicorni e non ha senso inserirli sotto l’una o l’altra definizione poiché, come scrive una mamma del North Carolina nel suo blog: “Se escludiamo lo spazio intermedio, non rappresentiamo con precisione la realtà”.
Del resto sarebbe sufficiente eliminare le etichette che quotidianamente applichiamo ai fatto umani che ci circondano, cominciando fin da subito a insegnare ai piccolissi che non esistono scatoloni predefiniti nei quali inserire i gusti personali. In caso contrario, nei parchi e nelle scuole continueremo ad assistere ad episodi di bullismo e vessazioni.
Andrea Bardoni nel suo blog Voglio sposare tiziano ferro scrive: “Gay lo eravamo a zero, uno, due, tre anni. […] È vero che la società ti reprime e ti incanala verso una vita stereotipata. La società storce il naso se hai gusti diversi in fatto di televisione, cinema, cucina, eccetera, ma si incazza proprio se i gusti differenti sono quelli sessuali. In quel caso la società dà proprio di matto…
Sappiamo che là fuori non sarà una passeggiata. I compagnetti di scuola ce ne danno un assaggio già da giovanissimi…
Fatto sta che tutti da bambini abbiamo vissuto l’esperienza di essere alieni in un mondo a misura di etero, anzi per un tipo particolare di etero che doveva rientrare in rigide categorie”.
I problemi, certo, nascono quando ci si rapporta con il resto del mondo: al parchetto piovono offese e prese in giro dai coetanei; e a scuola subiscono interrogativi e sguardi insistenti dagli adulti.
In USA questo ha spinto i genitori dei pink-boys a trovare una soluzione insieme, a far vivere in maniera più serena i propri figli, affinchè possano esprimersi liberamente.
Eh, già perché è qui lo stallo.
I bambini dall’identità intermedia ci sono sempre stati, sta solo emergendo in questi anni l’esigenza di comprenderli, invece che soffocarli.
Sono nate così, associazioni volte all’aiuto delle famiglie che vogliono sostenere le tendenze dei propri figli, senza imporre loro un modo diverso di comportamento ritenuto più consono.
Ho provato a cercare in rete qualcosa di simile in Italia, ma non ho trovato niente. Molte persone nei blog raccontano la propria infanzia “diversa”. Citano episodi e condividono ricordi.
Nessun adulto, però, che parli dell’infanzia che sta vivendo oggi un figlio, una nipote, degli alunni.
Infanzia relegata a ricordi spesso spiacevoli e a scelte predeterminate: a destra i maschietti, a sinistra le femminucce.
Beh, sai che c’è? Io vado dritto.
No, non puoi.
E non potrai mai più perchè quel tempo è passato, ma sicuro le ferite che hai subito, ancora bruciano.
Ora, permettere a degli adulti di confrontarsi sul tema che tocca oggi bambini e bambine di 3, 4, 10 anni, consentirebbe a questi di non ferirsi.
Consentirebbe ai coetanei, alle maestre e ai genitori di non ferirli.
La parola genera confronto e il confronto comprensione.
Azzurro o rosa, alto o basso, dritto o storto, non fa differenza.
Può anche essere solo spirito di contraddizione, o mera provocazione, ma se hai il pisellino e ti piace lo smalto fuxia, chi se ne frega; se hai la pesciolina e ami il wrestling, chi se ne frega.
Se fossimo cosi audaci da cambiare testa, potremmo insegnarlo anche a loro, i quali giocherebbero insieme con fatine e trenini, indifferentemente, ma ognuno seguendo la propria indole, fregandosene delle etichette.
_Virgi_