Tra Gender e Psichiatria

Grgender theoriesazie a MiM che ha pubblicato il racconto del secondo appuntamento del ciclo “Gender Theories” organizzato dal Collettivo Bicocca dal titolo “Tra Gender e Psichiatria, il caso della disforia di genere”. Sono intervenuti: Elisabetta Ruspini, Antonia Monopoli, Marco Inghilleri, Stefania Voli, Chiara Caravà.

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ASSEMBLEA CITTADINA NOEXPOPRIDE//21marzo//h 15:00//CasaDelleDonne

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È interessante soffermarci sul significato che assume il progetto di Expo chiamato WomenForExpo e l’evidente meccanismo di pinkwashing in atto a Milano.

WomenForExpo è la quota rosa di Expo: propone l’immagine di una donna naturalmente votata al prendersi cura, al cullare e al nutrire il pianeta. È un progetto che normalizza la condizione di oppressione delle donne, infiocchettandola.

Da un lato si promuove la donna imprenditrice e di potere e dall’altro si accentua l’oppressione di tutte le altre donne, giustificandola con la vocazione alla maternità e alla cura. Del resto la politica sulle donne che Expo sta portando avanti è in linea con l’immagine di donna regina del focolare domestico e madre prima di tutto, depositaria di conoscenze legate al cibo, al nutrimento e alla capacità di accudimento. Immagine che ci riporta ad epoche oscurantiste e di matrice patriarcale.

In questo svilimento dei diritti delle donne e delle soggettività LGBTQ, gli unici segnali di apparente apertura sono dettati dall’interesse economico che sta dietro alla valorizzazione del turismo omosessuale, con un fallito progetto di Gay Street che avrebbe messo un’intera strada a disposizione dei gay (ovviamente maschi e benestanti) attenti alla moda e allo shopping; niente più di un’area protetta.

Questo è pinkwashing e non ha nulla a che fare con una reale volontà di incidere sulla cultura delle libertà, libertà di essere chi e come si vuole, di costruire le famiglie che più ci piacciono e meglio ci fanno stare, di vivere la sessualità e la vita senza subire il giudizio di nessuno e gli ostacoli che ne conseguono.

La quota rosa di Expo e il pinkwashing risultano essere dispositivi di normalizzazione e di controllo che operano una reclusione all’interno di spazi fisici e politici e che nascondono l’assenza di diritti per i soggetti LGBTQ.

Rifiutiamo i modelli di donna e di omosessuale che ci propongono e ci impongono. Liberi di immaginarci come vogliamo, libere di essere favolose.

Rete NoExpoPride si presenta alla città sabato 21 marzo h. 15:00 presso

Casa delle Donne in via Marsala 8

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Materiali per l’incontro sul genere in Bicocca

butlerIl 26 marzo alle 15.30 Ambrosia interverrà, insieme a Lorenzo Bernini, nel ciclo di incontri sul genere organizzato dal collettivo Bicocca.

Questo incontro si intitola “Da Foucault al Queer” e noi abbiamo pensato di suggerire due testi di Judith Butler come letture preliminari, che parlano soprattutto di performatività e che speriamo possano essere utili:

Butler. Atti performativi e costituzione di genere

Butler. Dalla parodia alla politica

qui trovate tutte le informazioni sul ciclo di incontri e il 26 marzo ci trovate alle 15.30 in aula Pagani, edificio U7, Università Milano-Bicocca.

 

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racconto di Annalisa Dordoni & Enrico Petrilli sul primo incontro di “Gender Theories”

da Milano in Movimento

Il concegender theoriestto di genere: da critica radicale femminista a limite normativo all’autodeterminazione

 

A pochi giorni dall’ultimo regalo delle frange più estremiste del conservatorismo cattolico, uno spot messo in rete per promuovere una raccolta firme contro il terrificante paventato ingresso di una fantomatica “teoria del gender” nelle scuole italiane, un video surreale che potete trovare qui: https://www.youtube.com/watch?v=IjA_8pLa0cA (la ProVita l’ha dovuto probabilmente cancellare dalla sua pagina youtube), il Collettivo Universitario Bicocca propone una serie di incontri per approfondire le, viceversa, esistenti Gender Theories, un campo di studi importanti nel mondo accademico internazionale che invece qui da noi è stato estromesso dalle università dopo la riforma Gelmini.

Giovedì scorso abbiamo partecipato al primo appuntamento: introduzione al concetto di genere, con Carmen Leccardi, professoressa di Sociologia dell’università Bicocca. Seguiranno poi, ogni due settimane, sempre il giovedì alle 15.30 in aula Pagani, un incontro su gender e psichiatria con Elisabetta Ruspini, uno su Foucault e teoria queer con il collettivo Ambrosia e Lorenzo Bernini, e poi l’appuntamento finale, che verterà su genere e metropoli, con la partecipazione della rete NoEXPO Pride e Leandro Sgueglia.

Il primo incontro è stato aperto da Marta e Cora del Collettivo Bicocca che hanno spiegato la necessità di organizzare questo dibattito da parte di student* che si ritrovano ad affrontare la cancellazione di moduli e corsi sul tema del gender, perchè considerati “superflui”. Quando c’è da tagliare, si tagliano le cose che vengono reputate meno importanti, secondo logiche che sono tutte politiche e non accademiche, tagliando purtroppo anche ciò che ha una portata critica ed emancipatoria: dai moduli sul genere nei dipartimenti di Sociologia, Scienze della formazione e Psicologia, alle Commissioni pari opportunità, ai finanziamenti dei corsi per student* e lavorat* “Donne, politica e istituzioni”, come sottolinea Leccardi. La partecipazione all’assemblea e al dibattito dimostrano invece tutt’altro: parlare di genere significa parlare di noi stess*, di discriminazioni, di resistenze, di relazioni di potere, e di certo chi era presente rifiuta nettamente la messa all’angolo di tali questioni. Prosegui la lettura »

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Né normali né sfruttate: Assemblea nazionale verso il NoExpo Pride, Roma 15 marzo

 

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Tra poco più di due mesi apriranno i cancelli di Expo2015, l’Esposizione Universale che quest’anno avrà come slogan “Nutrire il Pianeta”: una vetrina che mette in bella mostra un modello di sfruttamento e devastazione dei territori e delle esistenze; la macchina Expo poggia su lavoro gratuito di moltissim* giovani, portando avanti un paradigma di precarietà e sfruttamento che si dispiega a livello nazionale.

Tutto questo avviene a Milano, una città radicalmente trasformata dai progetti di speculazione e dalle imponenti opere costruite in vista del grande evento: metri cubi di cemento, che hanno richiesto sgomberi, sfratti, demolizioni, retate ed espulsioni, per escludere dai quartieri destinati ad Expo tutti i soggetti che non erano “presentabili” e “attraenti” per i turisti che sperano di attirare: migranti, sex workers, pover* e tutt* coloro che hanno scelto di opporsi alla macchina di Expo2015.
Da un lato vedremo esposte al suo interno tutte le grandi multinazionali del cibo, che sfruttano la terra e le popolazioni a cui è stata sottratta, e dall’altro la strumentalizzazione a fini propagandistici di immaginari, identità e rivendicazioni.
Il progetto Women for Expo, con il suo padiglione, darà spazio alla grande campagna mediatica vòlta ad imporre due modelli di emancipazione e centralità per le donne: da una parte la madre della vita e della terra, naturalmente predisposta alla condivisione, all’altruismo e al nutrimento e dall’altra la donna imprenditrice, la cui emancipazione si manifesta esclusivamente nell’esercizio di potere all’interno del modello capitalistico.
Ma Expo non si limita a questo, nel tentativo di trovare più consenso possibile e di espandere il target commerciale, strumentalizza il bisogno di riconoscimento ed emancipazione di lesbiche, gay, trans e queer, proponendo loro un mercato dedicato, fatto di iniziative, locali e quartieri friendly costruiti a tavolino, che hanno il solo scopo di intercettare una redditizia fetta di mercato. Destinatari di questi progetti sono quasi esclusivamente uomini gay di reddito medio alto e di origini occidentali.
Se questo progetto parla ad una parte di mondo lgbt c’è tutta un’altra miriade di soggettività che vengono automaticamente escluse e negate. Sono quelle più scomode, meno redditizie che vivono una quotidianità di oppressione e discriminazione, d’invisibilità culturale e legislativa, di marginalizzazione ed espulsione dal mercato del lavoro.
A questo si aggiunge il progetto di Expo di Cascina Triulza , uno spazio in periferia nord di Milano, dove dare visibilità alle associazioni della “società civile”, tra cui alcune associazioni lgbt e di donne, così da dare un minimo di contenuto sociale al logo Expo2015, a cui oggi la maggior parte delle cittadini e cittadini associa solamente mafia, corruzione e tangenti.
Lo sfruttamento della terra e l’oppressione di genere mostrano la crisi evidente di questo modello sociale ed economico: Expo li rimette al centro del discorso strumentalizzandone i bisogni e rinchiudendoli in una cornice ben definita, funzionale al mantenimento del sistema capitalistico.

Noi siamo donne, trans*, sexworker, migranti, gay, lesbiche, queer e femministe e vogliamo riappropriarci della nostra Città perché la visibilità, l’agibilità e la sicurezza di questa città è fatta anche dai nostri corpi che la attraversano. Contestiamo il sistema di valori di cui Expo si fa portatore e rivendichiamo la libertà di vivere, amare, giocare, performare il nostro genere, i nostri desideri non conformi, la nostra sessualità e le nostre relazioni con gioia e trasparenza. Chiediamo riconoscimento per le molteplici reti di affettività di cui facciamo parte. Chiediamo reddito garantito per le nostre vite precarie. Rivendichiamo il diritto di liberare spazi e luoghi di confronto e di agibilità politica.

A dicembre 2014 c’è stato a Milano un primo incontro tra diversi collettivi femministi e lgbit*q da alcune città italiane, che aderendo al percorso generale contro Expo e alla May Day del 1° maggio, hanno però deciso di costruire anche una giornata di mobilitazione di donne e soggetti lgbit*q, un NoExpo Pride.
Per continuare la costruzione di questo percorso, ci sarà un secondo incontro pubblico a Roma, domenica 15 marzo dalle 10 alle 17, ospitato nello spazio occupato e autogestito dalle Cagne Sciolte, in Via Ostiense 137.

Per raggiungere lo spazio con i mezzi pubblici, metro b (da stazione termini o tiburtina in direzione Laurentina), fermata Garbatella.

Per info: http://noexpopride.noblogs.org/

Per ospitalità e informazioni logistiche sulla giornata del 15 marzo 3939291951

Femministe, froce e queer verso il NoExpoPride 2015.

 

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PRESENTAZIONE di FARE E DISFARE IL GENERE di Judith Butler – 7 marzo, Piano Terra h 19:30

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Ne parlano: Ambrosia, Olivia Fiorilli, Chiara Martucci, Cristina Morini e Stefania Prandi. Sarà presente il curatore Federico Zappino

 

La recente riedizione di Fare e disfare il genere di Judith Butler (a cura di Federico Zappino, prefazione di Olivia Guaraldo, Mimesis 2014) sancisce l’importanza di questo testo all’interno del vasto campo degli studi critici femministi e queer. Identità di genere, eteronormatività, corporeità, parentela, unioni tra persone dello stesso sesso – e ancora trasformazione sociale, riconoscimento, interdipendenza, desiderio e autodeterminazione, sono tutti i fili che vanno a comporre la riflessione più matura, e vibrante, di Judith Butler sui temi che nei primi anni Novanta furono al centro del fondamentale, e tuttora discusso, Gender Trouble.

L’insistenza sulla processualità del fare e del disfare, individuale e collettiva, consente in questo testo di cogliere in essa i tratti di una riconfigurazione costante dei parametri di intelligibilità del soggetto che il genere, incessantemente, produce. Come ogni classico del pensiero, tuttavia, Fare e disfare il genere offre paradigmi e strumenti concettuali, e decostruttivi, che si rivelano utili anche per affrontare temi e problemi che il libro, formalmente, non pone. Il testo, come ha notato Anna Simone (Alfabeta2), ci dice infatti «che l’agency dei soggetti è sempre lacerata da un paradosso, ragion per cui è esso stesso l’unica condizione di possibilità; ci dice che l’uso del concetto lacaniano di forclusione risulta fecondo anche per fare e disfare il femminismo; ci dice che uno dei problemi del pensiero della differenza sessuale è la difficoltà a stabilire connessioni con i grandi mutamenti di scala del pensiero e della realtà sociale; ci dice, a suo modo, che per superare questo gap bisognerebbe ripensare l’umano senza tornare all’umanesimo». Ma Fare e disfare il genere, se «produttivamente tradito», come ha proposto Olivia Fiorilli (Commonware), è in grado di parlare non solo ai movimenti queer e transfemministi, ma anche «a tutti i movimenti sociali che combattono le politiche predatorie del neoliberismo nella sua fase attuale e che nella riflessione queer e femminista possono trovare una lente di lettura irrinunciabile». L’idea di una soggettività costantemente espropriata, spossessata, dai processi, dalle relazioni, dagli ordini discorsivi che fanno e disfano il genere (ossia: che fanno e disfano i parametri di intelligibilità del suo riconoscimento, della sua inclusione, della sua buona vita) rappresenta infatti una leva fondamentale contro la ragione neoliberista che fonda la propria ontologia sul soggetto sovrano e proprietario: «per Butler il soggetto non è sovrano né tantomeno proprietario: semmai non “possiede” pienamente neppure se stesso, il “proprio” genere, la “propria” sessualità. Il soggetto è anzi non solo fondamentalmente vulnerabile all’altro, ma anche costitutivamente dipendente». E dunque, questo testo «può essere utile anche per individuare strumenti critici da mettere in campo nel conflitto dentro e contro il lavoro in fase di ristrutturazione. Fare e disfare il genere affronta insistentemente e da varie prospettive il problema del riconoscimento come luogo di potere attraverso il quale l’essere umano viene prodotto in maniera differenziale». La «promessa di riconoscimento – del proprio valore, del proprio merito, della propria “utilità”, ma anche del proprio genere, della propria soggettività e più in generale del proprio essere soggetti sociali “degni” e possibili – diventa infatti sempre più la contropartita del lavoro: si tratta di un dispositivo perverso di estrazione di valore e al contempo di cattura delle soggettività».

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Questo «tradimento produttivo», questa feconda riattualizzazione politica del classico di Judith Butler, inaugurata dalla postfazione di Federico Zappino (Il genere, luogo precario), si rivela dunque «tanto più importante e proficua, se si considera che in questa parte di mondo, l’occidente del capitalismo avanzato, sono proprio le differenze a funzionare come dispositivi di segmentazione, d’inclusione/esclusione», e in cui il biocapitalismo cognitivo e relazionale «opera tatticamente tagliando e cucendo proprio le nostre differenze in precisi meccanismi di eteronormazione e controllo», come hanno osservato Raffaella Lamberti e Angela Balzano (il lavoro culturale), ben dimostrato dalle strategie di diversity management e dalle campagne di pinkwashing. «Lo scopo politico che attraversa tutto il testo è quello rivendicare fino in fondo il diritto alla vivibilità», ha messo in risalto Cristina Morini (Quaderni di San Precario): «la long and winding road del femminismo conta anche su tali preziose ripetizioni e rinsanguamenti. E questa Butler è quella meno dolente, quella più politica, […] quella che ci corrisponde di più. Quella che scrive, nel capitolo “La questione della trasformazione sociale”: Il fatto che il femminismo si sia sempre interrogato sulla vita e sulla morte rivela la sua natura filosofica. Che si ponga delle domande sul nostro modo di organizzare la vita, il valore che le conferiamo, sulla maniera di preservarla dalla violenza e di condurre il mondo e le sue istituzioni verso nuovi valori significa che i suoi sforzi filosofici formano, in un certo senso, un tutt’uno con l’obiettivo della trasformazione sociale».

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Ne discuteremo insieme il 7 marzo alle 19.30 a PianoTerra, in via Confalonieri 3, http://www.pianoterralab.org/

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GENDER THEORIES

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San Valentino 2015: la crisi del settimo anno

Dal SomMovimentoNazioAnale: il nostro San Valentino 2015!

Decolonizzati anche tu!  Segui  il  blog del SomMovimento Nazioanale! http://sommovimentonazioanale.noblogs.org/altre-intimita/

SV_3-300x296Si avvicina San Valentino, una data che invita le coppie a celebrare il proprio amore e a rinfocolare la propria passione attraverso i consumi; che fa sentire particolarmente solo/a e sfigata/o chi non sta in coppia e che spinge chi pratica forme di sessualità “diverse”, come i gay e le lesbiche o i /le poliamorose, a reclamare uguaglianza esibendo la propria capacità di scambiare cioccolatini, anelli, rose rosse e promesse di amore eterno quanto e più degli eterosessuali monogami.

Siamo queer, lesbiche, gay, trans, persone non monogame e persone che pur avendo pratiche monogame o eterosessuali non credono nella superiorità della monogamia o nella naturalità dell’eterosessualità.

Rifiutiamo l’immaginario romantico perché ci rendiamo conto che questa narrazione del sesso e dell’amore ci rende infelici: quando siamo in coppia, ci spinge a sviluppare dipendenza emotiva e a isolarci affettivamente, creando terreno fertile per piccole e grandi violenze; quando la coppia finisce, ci rende la separazione ancora più dolorosa del necessario, per via della solitudine, che è la naturale conseguenza dell’isolamento in cui ci eravamo chiuse/i, e del senso di fallimento; quando restiamo “single” troppo a lungo, ci fa sentire inadeguate/i e incomplete/i.

Se poi oltre a non avere un compagno/a non abbiamo nemmeno un lavoro, la mancanza di riconoscimento sociale è totale, e ci rende più ricattabili che mai, anche nella ricerca di un’indipendenza economica.

 Diffondiamo piacere (+ intimità + affetto + cura)

Oggi vogliamo affermare che non abbiamo bisogno di biancheria di pizzo o di “offrirle una cena costosa” per godere dei nostri corpi; che non abbiamo bisogno di raccontare i nostri affetti con il linguaggio dell’amore coniugale per sentirci in diritto di viverli; che non stiamo aspettando di incontrare la Persona Giusta per amare e sentirci amate, e per sentire che la nostra vita è completa; che non abbiamo bisogno di convivere per legittimare le nostre relazioni d’amore.

Possiamo e vogliamo scambiare piacere, affetto, intimità, cura e impegno a starsi vicino – in varie combinazioni e dosaggi – con le nostre compagne e compagni, amiche e amici, con i nostri coinquilini, con gente incontrata per caso, con una o più persone con cui abbiamo deciso di condividere parti più o meno grandi della nostra vita attuale e dei nostri piani per l’immediato futuro. Non abbiamo necessariamente bisogno di concentrare tutte queste cose su un unico rapporto. Le nostre reti di affetto sono molteplici, intergenerazionali, collettive, internazionali, solide.

 La precarietà nuoce gravemente alla salute sessuale

L’unica cosa di cui abbiamo bisogno per godere appieno del sesso e dell’amore è avere tempo, energia e spazio per farlo: non essere vampirizzate dal lavoro, dalla ricerca di lavoro o dalla povertà; avere una casa; non dipendere economicamente dai nostri genitori; essere supportate/i da servizi efficienti e da una responsabilità collettiva nella cura di eventuali bambini/e; non avere censori che pontificano sulla serietà, sulla legittimità o sulla completezza delle nostre vite sessuali e affettive. In altre parole, quello di cui avremmo davvero bisogno per amare e per scopare in piena libertà è un reddito di autodeterminazione per tutti/e sganciato dal lavoro.

 Pensavo fosse amore… invece era il capitale

Fin da piccoli/e ci viene insegnato che per essere felici bisogna prima di tutto trovarsi un fidanzato/a. Ci sentiamo continuamente ripetere che la coppia è portatrice di futuro, stabilità, maturità, patrimonio e produzione, ossia gli ingredienti magici del capitalismo.

In effetti, che siamo etero o omosessuali, il modello di vita di coppia che ci viene proposto ci spinge a lavorare e consumare con più dedizione e passione (grazie IKEA!).

Nella precarietà diffusa e nella crescente competizione che acuisce le disparità basate sul genere, la classe sociale, l’appartenenza etnica, l’aspetto fisico e l’età, ci illudiamo che l’unico rifugio sicuro sia la coppia.

Naturalmente, se ci sentiamo stanche/i e depresse/i, è solo perché non abbiamo ancora incontrato la Persona Giusta e, quando la incontreremo, tutto andrà bene.

Così il mito dell’amore romantico, oltre a impoverire la qualità della nostra vita sessuale e affettiva, produce anche individui più docili allo sfruttamento e alle ingiustizie.

“Fatti una famiglia!” (Altro che welfare…)

Ci hanno abituate/i a pensare che la logica continuazione di un rapporto di coppia “serio” sia farsi una famiglia. In questo modo ci spingono a riprodurre all’infinito i modelli sociali esistenti.

L’immaginario romantico produce l’idea che una certa forma di relazione e un certo stile di vita siano più validi e degni di altri, creando gerarchie e discriminazioni fra le persone attraverso mille micropratiche sociali, oltre che nella distribuzione delle ultime briciole di welfare pubblico.

Un welfare che presuppone che il suo utente-tipo sia sempre membro o di una famiglia mononuclerare o di una coppia in quanto futura famiglia, e comunque che si pone solo come (misera) integrazione al lavoro di cura svolto dalle donne e al supporto economico di nonni e genitori.

La lotta transfemministaqueer migliora la tua vita affettiva molto più di una terapia di coppia!

Con questo non stiamo dicendo che ci siamo già individualmente e definitivamente liberate/i dal sogno del principe azzurro e dalla sindrome di due-cuori-e-una-capanna.

Non è facile decolonizzare le nostre menti e i nostri cuori dall’idea che per essere adulti e realizzati bisogna avere una compagno/a, e dalla convinzione che concentrare tutti i nostri desideri, sforzi e aspettative su questa persona sia il salutare sintomo dell’amore “vero”.

Non è facile nemmeno mettere in pratica forme di vita alternative a questo modello, perché tutta la nostra società è a misura di coppia (per quanto alcune coppie – quelle non sposate o quelle non eterosessuali – abbiano meno legittimità e diritti di altre).

Combattere questi condizionamenti culturali e materiali non è una questione di scelta individuale nè di crescita personale, ma un lavoro collettivo che abbiamo appena cominciato, e che per noi ha un immenso valore politico.

 Decolonizzati anche tu!

La lotta all’amore romantico cosí come ce l’hanno insegnato è parte del nostro lavoro per la costruzione di un welfare queer dal basso e della nostra lotta all’eterosessualità obbligatoria, al binarismo dei generi, alla normatività della riproduzione, al controllo dei corpi e dei desideri da parte del mercato del lavoro e del consumo.

Al capitalismo rispondiamo creando forme di neomutualismo, cura e aiuto che scardinano l’individualismo e il modello riproduttivo della famiglia nucleare, che sostengono le nostre forme di sabotaggio dell’etica del lavoro, del merito e della produttività.

Smettiamo di riprodurre un modello di vita che ci rende ricattabili e isolate/i.

Noi autoproduciamo, noi liberiamo la creatività invece di riprodurre in serie.

 

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