Il corpo è linguaggio. Ma può celare la parola che esso è, può coprirla. Il corpo può desiderare e, ordinariamente, desidera il silenzio sulle proprie opere. Allora, rimossa dal corpo, ma anche proiettata, delegata, alienata, la parola diventa il discorso di un’anima bella, che parla delle leggi e delle virtù ma che tace sul corpo.
(Gilles Deleuze, La logica del senso)
Ambrosia quest’anno si dedica alla carne viva dei corpi, compie il gesto profondamente politico di mettere al centro della sua scena quell’osceno che dovrebbe restarne fuori.
Abbiamo scelto di dedicare le nostre energie ad esplorare il tema dei corpi in rivolta, dei corpi che si rivoltano, dei corpi che attraversano le rivolte, dei corpi rivoltanti e lo vogliamo fare proprio a partire dai nostri corpi. Vogliamo esplorare la contraddizione che ci vede attrici politiche solo quando usiamo la testa, mentre sul nostro corpo vengono agite delle politiche e dei poteri che ci limitano, che negano la nostra libertà e la nostra autodeterminazione. Pensiamo al lento smantellamento dall’interno della legge 194, alla chiusura dei consultori, ai tagli ai centri antiviolenza, all’obbligo di un’operazione chirurgica per cambiare nome su un documento, alle norme che affidano le decisioni sulle nostre vite a magistrati e polizia e all’ossessione della pubblicità per il corpo femminile, all’imposizione di un unico concetto di bellezza standardizzata ed eteronormata. Ma anche alle politiche securitarie che vengono approvate in nome dei nostri corpi ‘da proteggere’, alle discriminazioni che colpiscono ogni sessualità che devia dalla norma e ogni desiderio che scompagina.
E siamo consapevoli che tutto questo si riverbera nelle nostre vite, disegnando cicatrici sui nostri corpi, in modi spesso impercettibili e difficili da riconoscere: nelle occhiate insistenti, nei commenti indesiderati per strada, nei sensi di colpa, negli orgasmi negati e, soprattutto, nella vergogna, anche quella di provare piacere.
Proprio per questo abbiamo scelto di mettere in crisi l’idea che il corpo debba essere un luogo privato, intimo, opaco agli sguardi esterni e alla pratica politica. Partiamo da noi, mettendo in mostra le nostre fighe per liberarci della vergogna, raccontando il nostro stare in piazza, nelle rivolte, coi nostri corpi, le nostre gioie e i nostri tremori, esploriamo il nostro piacere per trarne forza e potenza. Lo facciamo per ricordarci che sono i nostri corpi, questi corpi, imperfetti, esposti al cambiamento, sempre eccedenti e carichi di passione che attraversano lo spazio pubblico, che danno forma al nostro modo di fare politica, che subiscono il potere e che praticano la resistenza, che incarnano nuovi immaginari sessuali, relazionali e collettivi.
Ripartiamo dalla materia, dalla carne, dal desiderio per non dimenticarci di noi e per non cedere alle lusinghe di costruire mondi ideali nei quali non possiamo abitare, ancora convinte di poter dare una forma diversa al mondo in cui viviamo.
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